È la rete dei “ciòvani” per antonomasia, come direbbe Piero Chiambretti. Ha conquistato il target 4-14 anni con una sfilza interminabile di serie animate su cui furbamente ha investito negli ultimi anni. Si propone come rete scanzonata, irriverente al punto giusto e capace di far tendenza.
Ma appena gli obiettivi di rete superano le aspettative, ecco che scatta un meccanismo discutibile quanto ineluttabile; non importa l’assetto identitario del programma, tantomeno il tipo di pubblico che veicola: Canale 5 pretende un sacrificio. E Luca Tiraboschi, direttore di rete, deve chinare il capo e acconsentire.
Dal Dr House a Mai dire Grande Fratello, da Zelig alla Fattoria, da anni assistiamo a un frenetico passaggio di programmi tra un’ancella senza mezzi e un’ammiraglia troppo ingombrante. Italia 1 non può permettersi di disturbare il vicino a suon di battaglie Auditel vinte e Canale 5 deve vincere. Anzi, stravincere. Sempre. Una partita patta tra le due reti, con un ascolto modico e bilanciato, non consente di superare in maniera schiacciante e palese la concorrenza Rai. Canale 5 esige il meglio della rete a essa alleata, saccheggia qua e là il suo palinsesto, traendo i benefici di prodotti a lungo testati in quella che ormai è una rete sperimentale, che prova quelli che saranno i futuri successi dell’ammiraglia. Se i programmi vanno bene, sarà un trionfo, se vanno male, non se ne ricorderà più nessuno.