Recensione



14
marzo

THE VOICE OF ITALY: IL PIERO PELU’ SHOW E IL “CONDUTTORE INESISTENTE”

Piero Pelù

Ci aveva avvertito di “riscaldare le canne”, ma la vera miccia di The Voice of Italy resta lui: Piero Pelù. Una volta compreso il semplice meccanismo alla base delle Blind Auditions, lo spettatore si ritrova d’innanzi a uno show intrigante, ma a volte statico, imbottito dell’eccessiva omertà dei coach (perché va bene evitare i “Sei falsa Simona, ca**o” di turno, ma il politicamente corretto finisce alla lunga con l’annoiare) e degli sporadici interventi di Fabio Troiano, il “conduttore inesistente”. Il titolo di una fatica letteraria di Italo Calvino? No, bensì un tifo flebile dietro le quinte e una voce che riesce a liberarsi solo in occasione dei numerosi messaggi promozionali inseriti all’interno del programma. Segno di un attore “prestato” alla conduzione evidentemente troppo presto.

Il mattatore  Piero Pelù (qui il suo team), da quel fascino baudelairiano e dal pizzetto più spigoloso di quello di Jafar di Alladin, regala un vero e proprio show dispensando massime e concedendo improvvisazioni ben più congeniali a uno showman che a un rockettaro incallito del suo calibro. E così che, di fronte alla mancata scelta di Mattia Lever che gli ha preferito Riccardo Cocciante ( qui il suo team), SuperPiero mostra il dito medio alla telecamera, sbatte convulsamente i piedi contro il pavimento e si accomoda sulla poltrona in una posa molto simile a quella del Lele Mora delle origini. “Mi avete ucciso ragazzi, davvero!” lamenta il cantante dei Litfiba prima di accaparrarsi Marco Cantagalli ricordandogli che “per le vere emozioni, devi venire dal Babbo!”. Ma è con la giovanissima Veronica De Simone e la sua versione di At last che Pelù dà il meglio di sè.

“Sei un quadro che oltre i colori, ha anche tantissime sfumature”. Che il cantante abbia letto o meno il bestseller di E. L. James rimarrà un mistero, ma è certo che l’alchimia con Raffaella Carrà (qui il suo team) resta palpabile e complice. Se la Raffa tentava di conquistare la simpatia della ragazza ribadendo la scrittura del nome di Veronica sul suo taccuino personale, il “Babbo” ribatte: “Vedi? Lei scrive il suo nome sul taccuino perché sei solo un numero. Per me tu sei già un quadro!. E al momento della scelta della signora del Tuca Tuca come sua coach, Pelù si salva con un semplice “questo perché hanno lo stesso parrucchiere”. E che dire poi della performance di Yasmine Kalach, in grado di “spettinare” Piero come neanche l’asciugacapelli di Tabatha avrebbe fatto?

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5
marzo

UN MEDICO IN FAMIGLIA 8: LA RICETTA DEI BUONI SENTIMENTI

Un Medico in Famiglia 8

Abbiamo guardato la prima puntata dell’ottava stagione di Un Medico in Famiglia! Diamo per assodato che siamo sulla rete ammiraglia della Rai, di domenica sera, in prima serata e con un pubblico di riferimento che, sottratti i tifosi di calcio che guardano il posticipo, quelli che la tirano lunga all’aperitivo e quelli che anagraficamente su Rai 1 non ci possono stare perché Rai 2 e Italia 1 sono le reti giovani, resta composto da donne adulte, anche molto adulte, e di bambini. Le categorie che nei momenti di pericolo devono essere tutelate e salvaguardate. Ecco, deve essere questo il principio ispiratore del “c’era un volta un medico in famiglia”. Proteggere donne e bambini dai mali esterni chiudendoli nel fantastico mondo di Poggio Fiorito e in particolare nella villetta dei Martini, dove la densità di abitanti per metro quadrato è più alta di quella della Cina.

Il fatto di estraniare lo spettatore dalla realtà non è di per sé cosa negativa e non lo è nemmeno rivolgersi al pubblico in modo semplice. Ma con Un Medico in Famiglia siamo a un livello davvero elementare, troppo elementare: l’assenza di strutturazione e articolazione nei dialoghi fanno apparire le conversazioni come uno scambio di pensierini a tema libero; tutto ha un po’ il sapore della favoletta: ci sono i buoni e i cattivi, lo “scontro”, la vittoria finale del bene sul male e il vissero tutti felici e contenti. Almeno fino ai nuovi episodi.

Non che manchino spunti di riflessione sociale. Il concetto di famiglia allargata ne è il primo esempio, il medico omosessuale un altro, la vecchiaia un altro ancora, ma tutto rimane trattato in maniera superficiale e, ammettiamolo, anche un pò democristiana. I personaggi non prendono mai posizioni nette, se non quelle buoniste e scontate che potremmo definire “del buon padre di famiglia”. O del medico, che dir si voglia.


1
marzo

RED OR BLACK? STASERA LA SECONDA PUNTATA DOPO UN TIEPIDO ESORDIO

Red or Black? - Prima puntata

Super publicizzato durante il Festival di Sanremo, annunciato come un game show spettacolare, alla fine Red or Black? – Tutto o niente si è dovuto accontentare di 4.729.000 spettatori pari al 17.19% di share all’esordio. Un risultato tiepido per il nuovo programma di Rai1 che ha sì vinto la serata ma è ancora lontano dalla definizione di successo. Oltretutto la curva calante della premiere non fa ben sperare per la seconda puntata, in onda stasera alle 21.10.

La curiosità dei telespettatori c’era ma con il passare dei minuti si è preferito cambiare canale. Il game show si è ripreso solo sul finale (dopo la conclusione de Il clan dei camorristi su Canale5) con il Vortex che ha assegnato 100.000 euro. Peccato che gli ultimi due giochi risultino piuttosto banali e privi di suspence e a poco sia servita l’empatia di Fabrizio Frizzi e la simpatia di Gabriele Cirilli, nuovo prezzomolino di Rai1, nel guidare il pubblico da casa. Più interessante la prima parte con le prove in studio, tra moto, cani e acrobati. Sufficiente la spettacolarizzazione, eccessivo il tifo da stadio in studio.

Red or black è ben confezionato, ha un ottimo ritmo (tranne per il finale, come già detto), risulta moderno e forse ha bisogno di più tempo per conquistare il pubblico del primo canale, che il direttore Leone sta cercando di svecchiare. Non sono bastati neppure gli ospiti vip, Massimo Ranieri su tutti, che si mettono a disposizione del programma partecipando direttamente alle prove ad alzare lo share. Questa sera ci saranno Massimiliano Rosolino, Natalia Titova, Raf, Emanuele Filiberto e Simona Izzo.

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1
marzo

CHE DIO CI AIUTI 2: GUARDARLA NON E’ PECCATO

Che dio ci aiuti 2

Non è che serva proprio l’aiuto dell’Altissimo per fare un buon prodotto televisivo. Bastano degli autori bravi che abbiano voglia di fare quello per cui sono pagati. Scrivere. E degli attori preparati capaci anche loro di fare quello per cui sono pagati. Recitare. E così quella che all’apparenza potrebbe sembrare una fiction banale si trasforma in un prodotto leggero e divertente, che lo spettatore segue senza pensare che gli sceneggiatori siano cresciuti a televisione e Topazio e che gli attori abbiano studiato recitazione sul Bignami. Parliamo di Che Dio ci Aiuti 2, in onda il giovedi sera su Rai1.

Rai1. Ve lo ripetiamo perchè dovete avere ben presente che siete sintonizzati sul tasto numero 1 del telecomando e che state guardando le storie di una suora, dall’approccio decisamente più solare rispetto a quello della religiosa interpretata da Jessica Lange in American Horror Story-Asylum e sicuramente più sobrio, sebbene non bigotto, rispetto alla monaca di Monza. Se invece vi approcciate alla visione di Che Dio ci Aiuti, aspettandovi la versione di Lost ambientata in un convento, allora, ve lo diciamo subito, resterete delusi. La novità della fiction, la prima che salta subito agli occhi anche dello spettatore più distratto, è che il protagonista non è Beppe Fiorello. E nemmeno Terence Hill, sebbene il paragone tra Suor Angela e Don Matteo arrivi puntuale come l’”amen” dopo che il prete dice  ”andate in pace”. Diciamo però che guardando le storie di Suor Angela, non proverete quel senso di “afflizione”, che le atmosfere e le storie di Don Matteo provocano, soprattutto nel pubblico più giovane.

Nella stagione di quest’anno, dicendola all’americana, siamo passati da un taglio poliziesco a uno procedurale. Italianizzando, dal poliziotto all’avvocato. Nello specifico da Massimo Poggio a Lino Guanciale, che si sono passati il testimone di abitante maschile del convento e di protagonista della storia d’amore potenziale e latente. Le puntate sono strutturate seguendo sempre lo stesso schema. Introduzione del piccolo Davide, che fa da voce narrante in apertura, “fattaccio” che costituisce il fulcro della puntata e a cui Suor Angela si trova in qualche modo connessa, come Jessica Fletcher lo è sempre a un omicidio, effetti collaterali del fattaccio sugli abitanti del convento, panoramica sull’andamento delle loro vite e… lieto fine. Siamo su Rai1 e per di più in un convento, ricordatevelo. Dalle parole redenzione e “happy end” non si può prescindere.

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3
ottobre

RIS ROMA 3 IN BILICO TRA CSI E DISTRETTO DI POLIZIA

Serena Rossi in Ris Roma 3 - Delitti Imperfetti

Ci RISiamo, questa sera su Canale5 è tornata la squadra di RIS Roma – Delitti Imperfetti. Giunta alla sua terza stagione, la serie con protagonisti Euridice Axen e Fabio Troiano si è presentata al pubblico senza particolari novità.  Ed è proprio qui che sta il principale problema della serie che – nonostante l’ottima realizzazione tecnica garantita dalla Taodue, da sempre leader nella produzione di fiction dal sapore action e investigativo – non riesce a lasciare il segno e neppure raccogliere gli stessi consensi di altre produzioni, come la stessa Squadra Antimafia – Palermo Oggi, in onda al lunedì sera sempre su Canale5.

Il principale difetto della serie è rappresentato  dalla scarsa attinenza con la realtà e con il vero lavoro della Polizia scientifica. I recenti casi di cronaca nera che hanno popolato per mesi la programmazione televisiva, bastano a farci capire come nella vita reale non tutto sia così semplice e scontato. Nella fiction i nostri RIS arrivano sul luogo del delitto, raccolgono elementi utili alle indagini e poi, nel tempo di un episodio, risolvono qualsiasi giallo. Potere della finzione  certo, che si scontra però con il reale e complesso lavoro compiuto quotidianamente dal Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri. Le indagini dei RIS, per quanto spesso decisive, rimangono pur sempre un supporto all’investigatore tradizionale, un lavoro dove non sempre si trova una traccia che aiuta a risolvere il caso.

Una scarsa aderenza alla realtà che traspare anche nel continuo strizzare l’occhio alla saga dei vari CSI, a cui la serie si è chiaramente ispirata sin dai tempi di RIS – Delitti Imperfetti. Laboratori avveniristici, apparecchiature all’avanguardia, camici perfetti e inamidati, e corse all’ultimo minuto per salvare vite costantemente in pericolo. Scene americaneggianti ad alto tasso d’azione, in questa stagione addirittura in misura superiore rispetto al passato, che poco hanno a che spartire con il mestiere della Polizia Scientifica (I Ris non sparano) e ancora meno con la realtà della nostra Capitale.

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14
settembre

PECHINO EXPRESS: NON C’E’ NIENTE DI PIU’ NUOVO DEL VECCHIO

Pechino Express - Simona Izzo

Pechino Express - Simona Izzo

L’avvincente e incalzante tema del viaggio: da Aristotele a Vogler, da Ulisse a Emanuele Filiberto. E’ questo uno dei punti vincenti di Pechino Express, la nuova avventura targata Rai 2 che si prospetta come nuova frontiera del fragile regno dei reality. L’inizio è un po’ lento ed è  segnato dalla febbrile preparazione delle valigie da parte delle dieci coppie protagoniste: dai tacchi sfavillanti di Costanza Caracciolo alla padella tascabile di Simone Rugiati, dalla stracolma Panda bianca del duo comico di Camera Cafè ai deliziosi cappellini di Costantino Della Gherardesca, in puro stile A spasso con Daisy. Solo dopo l’anteprima, Emanuele Filiberto si prepara a presentare la sua ultima creatura, organizzata secondo un obiettivo semplice ed efficace: un viaggio per l’India, il Nepal e la Cina segnato da condizioni avverse e da una forte temperanza.

I colori sfavillanti, le riprese in stile documentaristico e una colonna sonora desunta dai film più conosciuti e popolari rendono il ritmo del reality allegro e veloce, cristallino e divertente. La simpatia di Della Gherardesca, immortalato in una tinozza angusta e stretta nel pietoso tentativo di detergersi il corpo regalandoci “la più grande trashata prima del week-end” (qui la foto), è fondamentale per uno sviluppo narrativo che ha bisogno di un briciolo di pepe e autoironia per proseguire al meglio il suo corso. I capricci e la voce squillante di Simona Izzo, rimproverata e ammonita da un insofferente Francesco Venditti, sono, poi, quel tocco di glamour misto a comoda agiatezza a cui molti di noi sono abituati. Interessante è poi la versione imbranata e piagnona delle Veline, poco ferrate sull’inglese e perennemente bisognose di affetto e protezione.

Il viaggio è coinvolgente, il tempo determinante e le tappe ferrate e suggestive. Note vagamente stonate? Una presenza poco incisiva di Emanuele Filiberto (qui la nostra intervista) che sembra simile a un oracolo pronto a manifestarsi solo sporadicamente ai concorrenti della bollente India tramite walkie-talkie; le riprese troppo frequenti e strappalacrime alla popolazione autoctona provata dalla miseria; e una presenza minimale di alcune coppie, fra cui quella de “I promessi sposi” Carla Carlesi e Riccardo Corsi, illuminati da un minimo di interesse solo al momento dell’incidente in cui è incorso quest’ultimo.


5
settembre

SE STASERA SONO QUI: BRICOLAGE DI IDEE PROMETTENTE MA PER NULLA ‘IGNORANTE’

Se Stasera Sono Qui

Cinquanta sfumature di come si possa essere divertenti, o anche diversamente brillanti, senza necessariamente propinare monologhi su una catena di montaggio: questa la variazione sul tema che costituisce la novità di Se stasera sono qui. Nonostante gli occhi puntati addosso, Teresa Mannino si conferma vispa e disinvolta, porta avanti bene la sua maschera di intrattenimento: quello della donna palermitana irriverente che se deve indicare il deretano con il suo nome proprio non s’imbarazza.

Non fosse per qualche taglio di montaggio è così interessante la spontaneità di donna Teresa che non ci si accorgerebbe che la messa in onda è differita. Se lo scopo della padrona di casa però è essere elegante, come prima serata richiede, meglio pensare che volesse risultare eccentrica con panni un po’ stranianti. Vedere il ‘bassorilievo’ del pantalone che tanto ricorda il logo dei programmi di Gigi Marzullo.

Carino il gioco sull’identità di rete, con continue punzecchiature alla fama di canale comunista e per intellettuali. Alla faccia della tv per ignoranti però Andrea Scanzi rivendica popolarità per Beppe Fenoglio e insulta sia il Pulcino Pio sia la trilogia delle Cinquante sfumature, i tormentoni degli ultimi mesi, fenomeno main – stream smontato in pochi istanti dal giornalista, che forse dimentica che ogni estate porta con sé le proprie stravaganze (il waka waka era più culturale?)


23
aprile

TITANIC – NASCITA DI UNA LEGGENDA: FICTION BEN CURATA MA LENTA

Titanic - Nascita di una leggenda

Raccontare in modo diverso la storia del transatlantico più famoso del mondo, andando oltre la descrizione delle terribili ore dell’affondamento, rappresentava senza dubbio per la Rai, ideatrice e forte finanziatrice del progetto (con ben 10 dei 24 milioni di euro occorsi alla realizzazione), un obiettivo piuttosto ambizioso. Titanic – Nascita di una leggenda, la fiction diretta da Ciaran Donnelly, sembra ripagare il coraggio della tv di Stato, offrendo al pubblico un prodotto ben confezionato e per niente scontato.

Con grande attenzione e cura dei dettagli, si è riusciti a costruire attorno al Titanic un racconto nel quale i contrasti generazionali, sociali e religiosi, che caratterizzarono il periodo precedente al varo del transatlantico, si dipanano in maniera più che convincente. I protagonisti, distribuiti in varie classi sociali, e coinvolti a vario titolo nella costruzione della nave nei cantieri di Belfast, danno vita ad un vero e proprio romanzo storico.

Un romanzo nel quale le lotte dei lavoratori, riuniti in sindacati per ottenere maggiori diritti, si fondono con le battaglie per l’emancipazione femminile, con le speranze e i drammi che riguardano tante famiglie di emigrati, come quella di Sofia Silvestri, interpretata da Alessandra Mastronardi.