Non ci vuole di sicuro un fine critico televisivo per bocciare sonoramente l’offerta televisiva degli ultimi anni. E succede anche che, in presenza di un’intuzione giusta – venga messo in discussione l’operato di un signor professionista che da anni riesce a tenere acceso, con costante successo, il daytime pomeridiano di una rete come Rai 1 che certamente non brilla per originalità e avanguardia.
Il matrimonio di Valeria Marini. E’ stato questo l’annoso problema che ha tenuto banco in Viale Mazzini nelle prime settimane di maggio. Pensate un po’, ci si pone il problema di aver trasmesso un “evento” che ha catalizzato per la prima volta nella moribonda domenica pomeriggio della tv italiana oltre 3 milioni di spettatori con uno share del 23%. E’ come se, in sostanza, un’azienda alimentare, riscontrato il successo nelle vendite di un nuovo prodotto, decidesse di ritirarlo dal commercio perchè troppo calorico e tagliasse al contempo la testa di chi quel prodotto l’ha voluto sul mercato.
Certo, il matrimonio della Marini non è un momento di alta televisione e non risponde alla mission precipua (ma non esclusiva) del servizio pubblico. Ma viene spontaneo chiedersi: “ma perchè si deve essere sempre e costantemente ‘alti’?”. La chiave di qualsiasi successo è il giusto mix tra alto e basso, tra popolare e aulico. Perchè se con l’aulico ottemperi ad una funzione educatrice, con il popolare soddisfi e comprendi i bisogni della gente comune.
Accade così che a dire la cosa più giusta sia stato il blogger Zoro che alla domanda di Bernardini nel corso di Tv Talk “una storia come questa (il matrimonio della Marini, ndDM), ti ci divertiresti a raccontarla?” risponde:
“moltissimo. Sono le situazioni che mi divertono di più. Più il contesto è diverso da me, più mi diverto. [...] Sono cose che vanno raccontate e che rappresentano il Paese molto meglio di tanti talk show.”.
La verità è che la televisione generalista nostrana si sta accartocciando su se stessa, incapace di scegliere, osare, sperimentare e spendere, scevra da condizionamenti esterni, ma capacissima di cannibalizzare anche quel poco che funziona. Rovinandolo. E l’altra verità è che al timone dell’italico piccolo schermo ci sono ormai professionisti che di televisione ne capiscono ben poco. Ed anche quando sono chiamati a svolgere ruoli dirigenziali vanno sempre e costantemente ad interferire con il lato artistico, del quale – ormai è chiaro – non ne conoscono le logiche, non ne comprendono i meccanismi, facendo scelte che – oltre a non essere di loro competenza – non soddisfano le richieste del pubblico.
E poco conta la crisi, diventata ormai la scusa principale per ridurre budget, giustificare insuccessi ma incassare flop. D’altronde è risaputo che in periodi poco floridi – per uscirne – è necessario investire. Prendete ad esempio la parola ‘crisi’ in Cina: è identificata da due ideogrammi che rappresentano l’uno il pericolo, l’altro l’opportunità.
In Italia invece no, c’è solo il pericolo. Quel pericolo che ha determinato un’ennesima stagione tv incapace di sfornare nuovi prodotti, rinnovarne altri, lanciare volti nuovi sostituendo quelli vecchi, facendo attenzione però a conservarne la memoria. Perchè ormai è alla memoria che dobbiamo ricorrere per ricordare una televisione che potesse definirsi tale.
1. fabulous ha scritto:
3 giugno 2013 alle 13:38