Da quasi due mesi in astinenza da Grande Fratello, il Codacons ha trovato in Tamarreide un nuovo capro espiatorio su cui vale la pena accanirsi. Siamo d’accordo, il linguaggio senza filtri di alcuni degli otto tamarri non è l’apice dell’eleganza che si può proporre in televisione. Il rischio in cui la docufiction di Italia 1 si è imbattuta è quello di eccedere nel macchiettismo dei suoi protagonisti che nulla o poco hanno a che vedere con i tamarri veri, quelli che li riconosci a distanza dai subwoofer montati sulle auto che fanno tremare la strada con i bassi di Gigi D’agostino.
D’altra parte bisogna riconoscere alla regia di Alberto D’onofrio di aver portato una boccata d’aria fresca nella nostra paludata televisione della diretta a tutti i costi. Spogliarelli, sbronze e coatti non sono certo al primo passaggio nel tubo catodico: la vera novità è stato il montaggio capace di raccontare in maniera nuova una storia già vista. In cosa ha sbagliato allora Tamarreide? Nell’osare troppo oltre i classici stereotipi moralisti che dettano legge in televisione.
Uno spaccato duro, indigeribile ma sicuramente realistico ha portato scompiglio nel nostro mitico piccolo schermo, dove è ancora il Codacons a decidere che cosa merita di stare in prima serata e che cosa vada relegato a notte fonda, lontano dagli occhi del pubblico verginale e credulone. Di fatto, tutto quello che eccede le cavalcate di Terence Hill nelle verdi vallate dell’Alto Adige viene tacciato di cattivo gusto, malizioso, ambiguo, particolarmente diseducativo e tutta la serie di stereotipati aggettivi riproposti a ruota nei loro furenti comunicati.
Insomma Tamarreide è un azzardo in una televisione che, seguendo certi ideali, sarebbe ferma agli sceneggiati di Majano e Vaccari, che saranno anche belli ma oggi decisamente anacronistici. La stessa sorte era toccata un paio d’anni fa al Così fan tutte di Alessia Marcuzzi: le nuove puntate stanno stagionando nei magazzini in attesa della messa in onda (o sperando che il pubblico se ne dimentichi?). Per non parlare del Grande Fratello; anche se, in questo caso, un pizzico di ragione non possiamo non riconoscerla.
Allora lasciamo decidere al pubblico, che stupido non è, che cosa farne di Tamarreide. Oppure accontentiamoci di vivere sotto la campana di vetro, per cui conosceremo Sin tetas no hay paraíso solo come “Le due facce dell’amore”, e i film sul tema dell’omosessualità vincitori di tre premi Oscar verranno sempre trasmessi dopo essere stati purgati dalle effusioni tra due uomini (si, è successo di nuovo, su RaiMovie), e dai cartoni animati e dagli anime verranno censurate le scene più violente.
1. mats ha scritto:
15 giugno 2011 alle 01:22