Da otto anni imperversa sui nostri teleschermi con successo C’è posta per te, inespugnabile roccaforte del palinsesto di Canale5 (28.82% di share è la media delle prime quattro puntate) capace di sopraffare la più temibile concorrenza. Fiorello, Panariello, Ferilli e Dalla, Carlucci, Morandi, Clerici, Pupo e la Nazionale italiana di Calcio sono le vittime che il programma della “Sanguinaria” ha mietuto. Il format è stato persino esportato, con successo, da Magnolia (in Italia produce Ça va sans dire Fascino) in giro per il mondo (solo per citare alcuni paesi: Germania, Spagna, Bulgaria, Francia, Libano).
Bollato da alcuni come tv spazzatura. Considerato l’emblema della tv del dolore, il programma si basa sulla spettacolarizzazione dell’uomo della strada che diventa inconsapevolmente carne da macello poichè costretto a mettersi a nudo dinnanzi a una telecamera, a mostrare i suoi sentimenti più profondi e le sue lacrime sottolineate da impudici primi piani.
Ma se si guardasse oltre quello che è il meccanismo del programma, abbandonando populiste considerazioni etiche, e ci si focalizzasse sulle storie della gente comune apparirebbe lampante come C’è posta per te, che piaccia oppure no, offre uno straordinario spaccato della realtà italiana, migliore di un qualsiasi manuale di sociologia.
Una realtà di provincia, d’altri tempi, per chi erroneamente ignora che il Paese è fatto da piccoli centri, non da metropoli, forse bigotta ma autentica e accorata. Realtà che per quanto ci sforziamo di essere “moderni” fa parte del nostro Dna ed è fatta di valori come la famiglia e l’orgoglio.
C’è posta è una fotografia neorealista del ventunesimo secolo italiano. Neorealismo che non proviene più dal cinema che troppo spesso strizza l’occhio alla lontana e dissimile America, nè tantomeno dalla fiction rinchiusa in banali cliché postmoderni.
Le storie raccontate hanno il fascino di tanti piccoli romanzi popolari capaci di appassionare lo spettatore giovane e meno giovane, anche quello più “sgamato”, che in una sorta di catarsi mediatica riesce ad immedesimarsi e a provare empatia dinanzi al palesarsi di sentimenti universalmente condivisi. Passioni ed emozioni viscerali, dunque, si mescolano in uno show che fa del pathos la sua ragione d’essere.
Spettatore che, poi, si sente partecipe attraverso il sadico meccanismo della busta che incuriosisce e fa parteggiare con lo stesso ardore di un tifoso allo stadio. Fenomenale meccanismo che solo un “genio del male” come Maria de Filippi poteva creare. Colei che tutto può e tutto muove, sancta sanctorum della televisione italiana, oltre a essere conduttrice è autrice dello show. Algida, come solo lei sa essere, si aggira per lo studio a raccontare le sue storie con semplicità e pacatezza incurante dei canonici tempi televisivi (“La signora sa mettere in scena, in maniera drammaturgica, il silenzio “ scrive Aldo Grasso). Gli ospiti “normali” cercano in lei conforto, le si rivolgono, come se la conoscessero da sempre, per un consiglio, per ringraziarla o semplicemente per invocare il suo nome..
“(…) Say it loud and there’s music playing, Say it soft and it’s almost like praying. MARIA, I’ll never stop saying MARIA!
The most beautiful sound I ever heard. MARIA”
1. LadyDietrich ha scritto:
16 ottobre 2008 alle 13:04