L’intervista di Bernardo Bertolucci a Che tempo che fa del lunedì e’ stato un gran bel momento di televisione. E non lo diciamo a prescindere. Lo abbiamo ascoltato e guardato attentamente, perché basta con “l’intellettualismo” a ogni costo, che Bertolucci fa il cinema serio e quindi le sue parole acquistano un valore aggiunto, cosi, acriticamente. Diciamoci la verità, e’ pieno di persone che si crogiolano nell’ottusita’ che è più importante il “chi lo dice” del “cosa dice”. Un modo come un altro per risparmiare il tempo della comprensione dei contenuti. Classico italian style. In Italia, infatti, la capacità di creare miti è seconda solo a quella di creare debito pubblico.
Saviano e Benigni sono solo due degli esempi più’ attuali. Loro sono quelli che guai a criticarli, quelli che ogni intervento che fanno produce un numero di citazioni secondo solo a quelle della buonanima di Oscar Wilde. Quelli che se Saviano facesse un monologo sulla differenza tra scamorza e mozzarella, il giorno dopo servire in tavola una buona caprese diventerebbe un dovere civile, oltre che morale. Bernardo Bertolucci rientra nella categoria. Quindi, possibile che, se lunedì fosse andato da Fazio a dire che la parmigiana di melanzane si fa con i carciofi, oggi tutti a bruciare i libri della Parodi, che, imbrogliona, ha sempre detto si faceva con le melanzane.
E invece Bertolucci e’ arrivato in studio emozionato dalla standing ovation che il pubblico gli ha riservato. Aveva gli occhi vivi e profondi. E’stato subito evidente il suo essere uomo di cultura che non ha bisogno di affrontare questioni metafisiche per dimostrarlo. Ha raccontato della difficoltà di vivere a Roma e stare su una sedia a rotelle, di un episodio imbarazzante accaduto al Campidoglio che pare non possa essere rovinato da una rampa per disabili, dei sampietrini dissestati.
Bertolucci ha raccontato commosso della sottile “follia” del padre poeta, del suo primo incontro con Pasolini, dell’accusa di pansessualismo in seguito all’uscita di “Ultimo Tango a Parigi”, che, dopo la fine del processo, gli fece addirittura perdere il diritto di voto, della casa dei mezzadri che frequentava, dei comunisti, dei casting, delle emozioni che trasmettono gli attori, del ballo, presenza costante nei suoi film, come momento in cui tutto sembra possibile.
Ha risposto con eleganza a una domanda inutile di Fazio sulle autocitazioni nei suoi film. Bertolucci non si autocita attraverso gli oggetti o altro e, no, il cappotto che Tea Falco indossa nel suo ultimo film non è lo stesso che indossava Maria Sneyder in Ultimo Tango a Parigi . Però l’ha dovuto ripetere due volte, perché alla prima non è che a Fazio lo avesse poi tanto convinto. Un’altra standing ovation saluta l’uscita di Bertolucci. A questo punto bisogna vedere quanti andranno a vedere “Io e te”, il suo ultimo film tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, e soprattutto quanti riusciranno ad arrivare alla fine senza che un cascamento di palpebra diventi fatale per tagliare il traguardo dei titoli di coda.
Si, lo abbiamo detto. Anzi lo ribadiamo. Potrebbe capitare che le inquadrature piene e lente, la storia impegnata, le scene girate in una cantina procurino un certo intorpidimento dei sensi! E adesso quelli che si sentono intellettuali ci regaleranno la collezione dei film di Natale dei fratelli Vanzina.
1. Nina ha scritto:
24 ottobre 2012 alle 12:40