Dietlinde Gruber, detta Lilli, ha fatto la sua scelta. Nel momento in cui le istanze popolari sono entrate con impeto nel dibattito d’attualità, la conduttrice di La7 ha preferito sterzare in direzione opposta, rafforzando così la vocazione salottiera della propria trasmissione. Ad oggi, il suo Otto e Mezzo appare quindi come una tribuna politica ben strutturata, civilissima e gradevole nei toni (le telerisse sono assenti), ma spesso anche piuttosto distante dal Paese reale.
Nel salotto di Lilli, infatti, le problematiche che interessano alla gente comune scompaiono all’orizzonte per lasciare spazio ai grandi temi politici e sociali: non è raro che il tutto si risolva in dissertazioni vaporose e autoreferenziali, che nel migliore dei casi offrono solo qualche spunto alle agenzie di stampa. Ovviamente, non pretendiamo che il programma di La7 stravolga la propria tradizione e che d’improvviso si metta a scimmiottare altre trasmissioni, ma gradiremmo ascoltare un dibattito più ancorato a terra, in cui fossero bandite certe perifrasi proprie del linguaggio politichese.
L’altra sera, ad esempio, a Otto e mezzo abbiamo ascoltato un’avvincente disquisizione sulla “sgrammaticatura istituzionale” che il Pd potrebbe ravvisare qualora il Presidente del Senato mettesse ai voti la modifica dell’articolo 2 del ddl Boschi. Avete perso il filo del discorso? Bene: pure noi. E non ci stupiremmo se, di fronte a tale sofisticheria, qualche telespettatore avesse cambiato canale. L’esempio qui riportato non è certo l’unico ravvisato in questo avvio di stagione. A chi volesse ulteriori riprove, consigliamo di rivedere la recente puntata-comizio che ha avuto come protagonista Matteo Renzi.
Sulla conduzione della Gruber non possiamo che dire bene. Essa è garbata, professionale, e costituisce un vero marchio di fabbrica. Tuttavia, va anche annotato come spesso la giornalista cambi atteggiamento in base all’affinità con i propri ospiti: tendenzialmente, infatti, Lilli appare incalzante con chi non la pensa come lei, mentre dispensa sorrisi compiaciuti agli intellettuali e agli editorialisti che godono della sua stima. Non si tratta di una vera e propria faziosità, ma di un peccato veniale che balza comunque all’occhio per la sua evidenza.
Infine una considerazione sul Punto di Paolo Pagliaro, che ormai è un’istituzione. E come tale si comporta: spesso non se ne capisce l’effettiva utilità, ma se ne coglie l’importanza nell’economia del programma.
1. Luca ha scritto:
21 settembre 2015 alle 14:58