La nonna, una fantastica Piera Degli Esposti, che all’annuncio dell’arrivo di nuovi nipotini prenota una crociera in giro per il mondo al grido: ”Non mi avrete”, la coppia delle zie pie, pettegole e zitellone alle prese con la svolta emo della piccoletta di casa, fratello e sorella che in bagno si giocano a sorte l’ultimo preservativo a disposizione in casa, i genitori sorpresi ad amoreggiare nella casa dei figli, gli inserti da musical di cui spesso si è parlato e che tanto hanno contribuito al marchio.
Tutti pazzi per Amore, nonostante il peso della serialità che si allunga come il proverbiale rotolone delle pubblicità, può contare ancora su una sceneggiatura brillante. Se ne confrontiamo le dinamiche con il resto dell’intrattenimento che più o meno avvolge i palinsesti della vecchia tv generalista il tocco straniante, quel brechtismo pop, sembra proprio una grandissima boccata d’aria. Quale altra fiction italiana chiuderebbe con una rappresentazione degli spermatozoi del protagonista che causa pensionamento giocano a scacchi?
Il tema dell’omosessualità ad esempio è portato al grande pubblico in punta di piedi, tra una sorta di vignetta onirica e un surreale confronto tra ragazzi non proprio glamour che sfoggiano un lessico da Vanity Fair. Erotismo frizzantino ma mai sguaiato, uno sguardo non convenzionale su un’Italia che rimane spesso fuori dagli schermi, ma esiste, tanto quanto quella iper rappresentata di coatti, tradizionalisti o truffaldini.
Se si pensa alla linea editoriale del Grande Fratello che abbina costantemente la sua idea di reality a uno stereotipo di iperreale autoreferenzialità (Signorini ha correttamente paragonato il programma Mediaset a un Uomini e donne elevato alla potenza e frainteso per realtà) sembra di essere in un altro mondo.
La scelta della surrealtà che apre sprazzi molto divertenti, e per nulla banali, sul reale acquista un ulteriore tono di grande originalità se si considera l’identità della rete che ospita la spassosa epopea della famiglia allargatissima di Solfrizzi e della Liskova. Niente mamme, figlie e nonne che si struggono accarezzando i portafotografie dei figli manigoldi ma piuttosto un’immagine dirompente di eterne ragazze, ma sessualmente emancipate.
Dall’altro lato nessun machismo, uno spiraglio ampio sulla transizione della figura maschile nel mondo delle donne giornaliste che ammiccano a Sex and the city e Il diavolo veste Prada. Niente chiagne e fotte e famiglie patriarcali da film di Olmi, ma un simpatico coacervo di metrosexuality e underground intelligentemente avvicinati ad un pubblico non proprio di nicchia.
1. Giu ha scritto:
23 novembre 2011 alle 00:45