18
dicembre

OSSI DI SEPPIA: FENOMENOLOGIA DELLA TV DEI LIMONI SPREMUTI

Gerry Scotti

«Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Così si esprimeva, desolato, Eugenio Montale davanti al triste spettacolo del mondo di quasi un secolo fa. Lo stesso triste senso di vuoto pervade di tanto in tanto la mente dello spettatore di una tv generalista sempre meno brillante e sempre più esasperata, che vive il caos profondo di una transizione culturale verso un sistema più complesso di comunicazione.

La sindrome del limone spremuto fino al midollo, che qualche giorno fa Gerry Scotti e Antonio Ricci hanno denunciato, ha tutti i tratti della necessità e rappresenta uno step di autoconsapevolezza fondamentale. Bisogna individuare alcuni nodi di riflessione da cui ripartire per dare respiro alla programmazione. Dati alla mano la fidelizzazione del pubblico al piccolo schermo è crollata verticalmente nel settore dell’intrattenimento fino a far emergere con sempre maggior frequenza gli ottimi risultati dell’approfondimento che meno ammicca alle strategie mainstream. Basti solo vedere l’enorme riduzione della forchetta tra inchiesta e fiction, analisi e melodramma.

Vieni Via con me, a prescindere delle valutazioni politiche, ha avuto il merito di far riaccendere apparecchi spenti ormai da tempo in prima serata. Il suo miglior pregio? Avere qualcosa da dire, e avere qualcuno di autorevole a cui farlo dire. Un format dunque che nella sua semplicità d’impianto è riuscito a riportare il problema della rappresentazione nelle dinamiche comunicative del piccolo schermo, una trasmissione capace di restituire dialettica all’interno dei gruppi che lo hanno scandagliato con sensazione di piacevolezza. Tutto il resto vive più o meno con stanchezza la fase di passaggio. Se si mettono al riparo le piccole nicchie disseminate nella miriade di canali che il nuovo orizzonte sta preparando, il profilo medio delle reti attorno alle quali si concentrano più spettatori risulta per lo più dominato da esasperazioni autoriali e un voyeurismo che lancia il sasso ma ritira la mano, non appena l’immagine cruda della realtà può far scaturire riflessioni amare e destabilizzanti.

Una costruzione che genera scontro ma non si assume la responsabilità di risolvere le divergenze inestricabili. La parete di vetro (con la sua funzione di connettore-separatore trasparente) in cui si infrangono ormai i melodrammi dei concorrenti del Grande Fratello è la metafora più calzante del protagonista televisivo come mosca impazzita non artefice del proprio destino. L’aver portato alle estreme conseguenze quei piccoli ingranaggi che prima strappavano un sorriso, o perlomeno facevano aggrottare un sopracciglio, ha fatto collassare le virtù dei rari frangenti di autenticità che la reality tv aveva cercato di portare nella semiosi del piccolo schermo. Così come la sovraesposizione di poche facce note e vincenti fino al senso di saturazione consumistica ha impastato le piccole differenze in un unico flusso-polverone con risultati abbastanza negativi.

Un’aberrazione difficilmente arginabile con la conseguenza che il medium risulta sempre più periferico rispetto alla velocità della comunicazione che fa crescere quotidianamente le altre piattaforme mediali. E’ come se l’intuizione degli anni Novanta di Carlo Freccero, riguardo al destino della tv come rifugio delle classi subalterne rispetto agli strumenti culturali metropolitani, si stesse rivelando una profezia acutissima. Un crollo che spesso s’innesta anche all’interno di quelle categorie sociali escluse dai circuiti della digitalizzazione della conoscenza, ma comunque stanche di rappresentazioni che esasperano finti problemi.

La sfida che la tv tradizionale deve affrontare al cospetto di palinsesti virtuali sempre più ricchi, comodi e allettanti è sicuramente ardua ma l’evidenza più importante da cui ripartire sono i nuovi temi caldi dell’attualità. La tv deve interrogarsi su eventuali nuovi fuochi della rappresentazione, o quantomeno aggiornare il proprio immaginario sfidando la comodità della stereotipia grossolana, riequilibrando quel rapporto pubblico-privato irrimediabilmente sbilanciatosi nella contingenza immediatamente precedente a questa era di post-reality, o forse surreality.



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3 Commenti dei lettori »

1. FiReBoLt ha scritto:

18 dicembre 2010 alle 12:22

Complimenti Cristian! Un bellissimo articolo! Un’analisi attenta ed efficace della TV degli ultimi tempi. Grazie per averci regalato questa perla! :-)



2. gioelisa ha scritto:

18 dicembre 2010 alle 12:26

Tracà è sempre un piacere leggerti!!!! B r a v o !!!



3. marcello walker ha scritto:

18 dicembre 2010 alle 16:34

Articolo eccellente, bravissimo!



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