I programmi di cucina si somigliano tutti, c’è poco da fare. Con la presenza di qualche concorrente, un giudice e magari uno chef a condurre, farai fatica a distinguerli, perdendoti nel mucchio. Ma a TV8 si sono messi d’impegno per confondere le idee e senza neanche copiare qualcun altro, bensì se stessi: guardi la nuova avventura televisiva di Alessandro Borghese, Piatto Ricco, e ti domandi se per caso non stai seguendo Cuochi d’Italia (già spremuto di suo a sufficienza).
Sarà la presenza del giudice Gennaro Esposito, saranno i suoi scambi verbali con il conduttore, sarà la fascia preserale, sarà che produce Banijay Italia, sarà il solito meccanismo della gara, sarà il canale, ma la sensazione è quella del déjà vu. Straniante. Anche se le differenze non mancano: sono due format diversi con elementi fin troppo identificativi in comune.
In Piatto Ricco ci sono tre cuochi amatoriali, non professionisti, che si sfidano ai fornelli; i loro piatti vengono assaggiati al buio dal giudice Esposito, che deve valutarli e, principale elemento di novità del programma, i concorrenti possono autoeliminarsi in cambio di soldi, stravolgendo la gara. Un meccanismo non sfruttato, che in altri contesti potrebbe anche funzionare.
E’ comprensibile questa smania di creare una “premiata ditta” con le risorse che si hanno già a disposizione e che, tra prime visioni e repliche, impazzano sul canale. Tuttavia, per usare il gergo più adatto, bisognerebbe trovare il modo di cambiare impiattamento a questi ormai noti ingredienti, magari portandoli fuori dallo studio, per far conoscere di loro aspetti diversi e non offrire lo stesso schema ad oltranza, togliendogli ogni attrattiva.
In generale, poi, se si vuol dare un senso alla loro presenza insistente sul piccolo schermo, gli chef dovrebbero tornare a cucinare di più e chiacchierare/giudicare meno. Perchè è il loro mestiere a renderli interessanti.