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febbraio

FILIPPO GIARDINA, “CAPITANO” DI STAND UP COMEDY: IN UN MONOLOGO DELLA SECONDA STAGIONE AUGURO UN CANCRO A MIO FIGLIO (CHE NON HO)

Filippo Giardina

Può considerarsi il pioniere  dell’italica stand up comedy. Filippo Giardina nel 2009 ha dato vita al progetto Satiriasi per portare nel Belpaese la “comicità vietata ai minori” di tradizione anglosassone che lo scorso anno è approdata in tv grazie a Comedy Central. Stasera, in occasione della prima puntata della seconda stagione di Stand Up Comedy, in onda ogni lunedì alle 23 sul canale 124 di Sky, l’abbiamo intervistato.

Se dovessimo spiegare ad un neofita cos’è la stand up comedy, come la definiresti?

Satira vietata ai minori di 18 anni. Nella stand up comedy si parla di temi della vita, però è un riso amaro, non adatto ai bambini.

E’ una tradizione di derivazione anglosassone, poco italiana.

L’abbiamo portata noi nel 2009 con il gruppo Satiriasi. Di base nella stand up comedy c’è un certo romanticismo e, dunque, anche nel portarlo in Italia siamo partiti dal localetto piccolo e abbiamo fatto crescere sia il pubblico che noi. In un’epoca in cui tutti pontificano, noi ci siamo messi in silenzio e siamo andati avanti lavorando tanto.

E’ un comico tormentato quello che fa stand up comedy?


In generale penso che una persona che sta bene nella vita non sta su un palco a farsi battere le mani, ma vive. Diciamo che una sorta di tara mentale devi averla.

Nello specifico della stand up comedy cosa c’è di fondo?

Depressione, tristezza…. Il discorso è che mentre la comicità ti porta a guardare fuori, la stand up ti fa guardare dentro, il nemico è allo specchio. Abbiamo la tranquillità di salire sul palco non per portare quello che funziona, ma per dire cose che abbiamo sperimentato e che per questo possono essere anche eccessive. Credo che in questo lavoro la cosa importante sia essere duri con se stessi nel giudicarsi.

Non ti sei mai autocensurato?

No, perché cerco di trovare un senso alle cose che dico. In un monologo di quest’anno, io che non ho figli, auguro il cancro a mio figlio, cosa che -sentita così e decontestualizzata- può far discutere ma in realtà si tratta di un modo per esorcizzare la morte di mia madre, mio nonno e quello che ho vissuto nella mia vita.  Qualcuno potrebbe offendersi ma non l’ho fatto per infastidire ma per me stesso; la base in questo lavoro è cercare di avere una risposta alle critiche, se no si diventa solo cinici. Uno può dire le cose più atroci ma se di base c’è un romanticismo va bene.

Prima del 2009 cosa facevi?

Facevo questo da solo, ho rischiato anche le botte. Dal 2002 faccio monologhi e il primo momento brutto l’ho avuto in Puglia: ho fatto una battuta su Padre Pio e ho rischiato il linciaggio.

Nella seconda stagione di Stand Up Comedy ci saranno novità?

C’è un film di Verdone, mi sembra Un Sacco Bello, in cui il protagonista parte con un suo amico per Cracovia. Ad un certo punto si ferma perché l’amico ha un malore, vede le altre macchine che sfrecciano e dice: “andate andate che tanto vi ripiglio tutti”. Secondo me piano piano stiamo arrivando, perché è inevitabile.

Funziona ancora la comicità popolare?

Beh se pensi che Zelig faceva 12 milioni, ora ne fa 3 milioni e mezzo.

La comicità ha bisogno di una svolta?

L’Italia ha bisogno di una svolta. Noi in un campo ristretto, stiamo facendo il nostro lavoro, sembriamo arroganti e boriosi ma siamo persone che si fanno il culo, lavoriamo come pazzi. Tutti dovrebbero fare così…

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