11
aprile

SAVIANO VS BRUNO VESPA: “RIINA IN TV PER LANCIARE UN MESSAGGIO”. MA IL GIORNALISTA SPIEGA LE SUE RAGIONI

Bruno Vespa, Porta a Porta

L‘intervista al figlio di Totò Riina è “la comunicazione più forte che Cosa Nostra ha dato negli ultimi 20 anni“. Così Roberto Saviano ha commentato le parole pronunciate da Salvo Riina nel corso della discussa puntata di Porta a Porta. Intervenendo a Che tempo che fa, ieri lo scrittore campano ha affermato che “quando un mafioso va in tv ci va perché vuole lanciare un messaggio” in codice, che noi non avremmo capito. Ma che sarebbe arrivato chiaro ai veri destinatari. Da parte sue, però, Bruno Vespa aveva già spiegato le motivazioni della sue scelta giornalistica e le aveva difese in una pungente lettera al Corriere.

Il conduttore di Porta a Porta, in particolare, aveva ritenuto utile che il pubblico conoscesse il volto della nuova mafia perché solo così “la gente acquisisce la consapevolezza di doverla combattere“. Poi l’anchorman aveva replicato ai suoi detrattori, citando alcuni casi di celebri interviste a personaggi dalla condotta discutibile. Ma allora, ha fatto notare Vespa, nessuno batté ciglioQuelle espresse dal conduttore ci sono sembrate argomentazioni condivisibili, soprattutto nella parte in cui il giornalista richiama alla memoria alcuni illustri precedenti.

Clamoroso, al riguardo, il confronto con Enzo Biagi, che nella sua onorata carriera intervistò criminali, mafiosi ed ex terroristi ma non ricevette la valanga di critiche piovuta invece addosso al conduttore di Porta a Porta. Anzi, il giornalista emiliano è considerato a buon diritto un maestro del mestiere.

Nella sua missiva, sembra che Vespa abbia anche voluto assestare qualche frecciata. Ad un tratto, infatti, il giornalista si è domandato se chi ha intervistato per la Rai il dittatore libico Gheddafi o quello siriano Assad avrebbe forse dovuto puntare sui crimini commessi da entrambi invece di focalizzarsi sulla politica estera. Si dà il caso che, nel 2013, ad intervistare il leader siriano fu l’attuale Presidente di Viale Mazzini, Monica Maggioni, che nei giorni scorsi definì “insopportabili” le esternazioni di Riina jr.

Roberto Saviano commenta l’intervista a Riina

Su Rai1 il figlio del boss ha pronunciato parole inqualificabili ma – ha proseguito Vespa – “in coscienza, credo di aver mosso al giovane Riina le obiezioni di una persona di buonsenso“. Secondo Saviano, però, il conduttore non avrebbe colto il vero linguaggio del suo intervistato.

Il primo messaggio che Salvo Riina ha mandato è che non sta parlando da capofamiglia, non si sta sostituendo al padre. Nell’intervista non viene mai pronunciata la parola mafia. Lui risponde che la mafia può essere tutto e niente, e che non se l’è mai chiesto. Anche questo in totale coerenza con la logica mafiosa. La mafia non si pronuncia mai per due ragioni: la prima non esiste, la seconda perché nessun mafioso direbbe io sono mafioso

ha commentato lo scrittore a Che tempo che fa. Secondo Saviano, l’obiettivo di quella intervista “non era il pubblico, né lo share, né Vespa” ma due entità: la magistratura, alla quale ha voluto suggerire che “la vecchia Cosa Nostra non è la nuova Cosa Nostra. Non ci pentiamo ma non vogliamo più il 41 bis“, e Cosa Nostra stessa. “Qui la mafia sta parlando e la cosa più grave è che non l’abbiamo capito” ha accusato Saviano.

Riportiamo la lettera integrale inviata da Bruno Vespa al Corriere.

Caro Direttore,
se Adolf Hitler risalisse per un giorno dall’inferno e mi offrisse di intervistarlo, temo che dovrei rifiutare. Vedo, infatti, che dopo il «caso Riina» vengono messi in discussione i parametri di base del giornalismo. La Storia è stata in larga parte scritta dai Cattivi. Compito dei cronisti è intervistarli per approfondire e mostrare l’immagine della Cattiveria. Aveva ragione nel gennaio del ’91 il governo Andreotti a voler bloccare (senza riuscirci) la mia intervista a Saddam Hussein alla immediata vigilia della prima Guerra del Golfo perché il dittatore iracheno era un nostro nemico? Chi ha intervistato per la Rai il dittatore libico Gheddafi o quello siriano Assad avrebbe dovuto puntare sui crimini commessi da entrambi invece di focalizzare il colloquio sulla loro politica estera?

Quando l’editore del libro di Salvo Riina ha offerto una intervista esclusiva al Corriere della Sera, a Oggi e a Porta a porta, non immaginavo né di fare il colpo della vita, né di creare un turbamento sensazionale. Ho letto il libro, ho detto ai miei colleghi che era l’opera di un mafioso a 24 carati e ho informato quell’eccellente professionista che è il nuovo direttore di Raiuno che avremmo potuto mostrare per la prima volta il ritratto della più importante famiglia mafiosa della storia italiana vista dall’interno. Decidemmo allora di far seguire all’intervista un dibattito con parenti delle vittime di Riina e con dirigenti di associazioni che coraggiosamente si battono contro la mafia. Così è avvenuto.

Ciascun giornalista farebbe una intervista in modo diverso. In coscienza, credo di aver mosso al giovane Riina le obiezioni di una persona di buonsenso mostrandogli anche le immagini delle stragi di Capaci e di via D’Amelio e dell’arresto di suo padre. Ho riportato dall’incontro l’impressione che avevo riportato dal libro: un mafioso con l’orgoglio di esserlo. Era utile che il pubblico conoscesse il volto della nuova mafia? A mio giudizio sì, perché solo conoscendo la mafia la gente acquisisce la consapevolezza di doverlacombattere.la prima volta il ritratto della più importante famiglia mafiosa della storia italiana vista dall’interno. Decidemmo allora di far seguire all’intervista un dibattito con parenti delle vittime di Riina e con dirigenti di associazioni che coraggiosamente si battono contro la mafia. Così è avvenuto.

Ho rivisto i precedenti. Guardate su Internet l’attacco dell’intervista del 1982 di Enzo Biagi a Michele Sindona. Prima di entrare nel merito ci fu una piacevole introduzione sui pasti del detenuto e sulla qualità delle sue letture. L’avvocato Ambrosoli era stato ucciso tre anni prima. La Commissione antimafia — che già esisteva — non batté ciglio. Lo stesso Biagi intervistò liberamente Luciano Liggio, il maestro di Totò Riina, il capo dei capi dei primi anni Sessanta. E Tommaso Buscetta, che spiegò come funzionava la Cupola, ma non pianse certo pentito sulla spalla del grande giornalista. Altra intervista famosa fu quella di Biagi al terrorista nero Stefano Delle Chiaie. Non ricordo che siano stati parallelamente ascoltati i parenti delle vittime.Ho rivisto i precedenti.

Jo Marrazzo, grande cronista della Rai, intervistò il capo della ‘ndrangheta Giuseppe Piromalli e il capo della camorra Raffaele Cutolo. Ricevette meritati complimenti. Come li ricevette Sergio Zavoli per aver intervistato tutti i terroristi (non pentiti) disposti a rispondere alle sue domande. Trascuro l’esempio più recente e discutibile: Massimo Ciancimino, figlio di Vito, è stato a lungo ospite d’onore di Michele Santoro con ampia libertà di dire l’indicibile, prima di essere arrestato nel 2013. Mi piacerebbe che tutte queste interviste fossero riviste insieme per un sereno confronto. Forse avremmo qualche sorpresa. In ogni caso, il tema è chi si può intervistare nella Rai di oggi.

Se Riina padre fosse disponibile, pioverebbero giornalisti da mezzo mondo. E noi?

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