Uomini rudi, lavoro duro e sfiancante, notti senza fine alla guida di giganteschi “bestioni”, thermos bollenti di caffè fumante, aree di servizio, sempre in lotta contro il tempo, migliaia di chilometri macinati senza sosta, spesso criminalizzati – in alcuni casi a ragione, per colpa di una guida non sempre corretta. Stiamo parlando dei camionisti, una categoria di lavoratori che ha sempre colpito l’immaginario collettivo tanto che cinema, letteratura, leggende metropolitane ne hanno descritto le gesta romanzandole al punto tale da definire il camionista come lo stereotipo dell’uomo ruvido per antonomasia, bastonatore implacabile di autostoppiste vogliose, sogno nascosto di creature perennemente insoddisfatte. Alzi le mani chi non ha mai sognato di montare su un truck americano di quelli tutti cromati percorrendo la mitica Route 66 tanto amata da Charles Bukowsky.
Tuttavia mi sono cascate le braccia dopo aver letto uno studio dell’associazione “Donne e qualità della vita“, presieduta dalla sessuologa Serenella Salomoni, condotto su un campione di 500 camionisti italiani dal quale vien fuori che, in fatto di fantasie erotiche, i sogni proibiti dei camionisti italiani del terzo millennio non sono più le classiche Arcuri, Belen o Ferilli, ma sembra che siano state sostituite - udite udite - dalla regina dei talk di Raidue Monica “Tetta in vista” Setta e dalla Lilli “Grandi Labbra squintate” Gruber.
Boh! Prontamente un preoccupante e preoccupato pensiero si è insinuato nelle nostre menti: cari camionisti italiani, ma che vi sta accadendo? Nel secolo della globalizzazione senza regole, non è che per caso vi si è globalizzato pure il cervello o la crisi mondiale dell’auto ha colpito anche i vostri neuroni sofferenti, smuovendo in modo disarmonico anche i vostri ormoni rombanti?