E’ un po’ come in Lascia o Raddoppia. Solo che non si lascia mai e, se non si raddoppia, si aumenta un po’ per volta. Parliamo del canone Rai, tassa che in Italia tutti coloro che posseggono un apparecchio televisivo devono versare allo Stato entro la fine di ogni anno solare. Eppure in molti non lo fanno perché non credono la Rai lo meriti, perché i programmi sono comunque interrotti da spot pubblicitari, o perché di fatto non esistono sanzioni per chi si esime.
L’azienda pubblica deve dunque correre ai ripari per sanare questa forma di evasione che, come leggiamo su Il Sole 24 ore, secondo il viceministro dello sviluppo economico Antonio Catricalà, “ha raggiunto livelli insopportabili”. E l’argomento è stato affrontato ieri in un’audizione difronte alla commissione di Vigilanza, durante la quale lo stesso Catricalà avrebbe ipotizzato l’eliminazione del canone a favore di un’imposta generale sui media come accaduto in Francia.
Il che, paradossalmente, avrebbe dato un minimo di senso al discorso Rai. Che, allo stato attuale delle cose, pretende il pagamento in presenza di un televisore ma di fatto trasmette anche in diretta web gran parte dei suoi canali e, dunque, visibili attraverso pc o smartphone senza alcuna necessità di antenna e apparecchio televisivo. Ma, davanti ad un cambiamento così epocale, il passo indietro è d’obbligo e difatti il viceministro ha chiarito la propria posizione riformulandola, come riporta Libero.
“Non è vero che io abbia dichiarato una preferenza verso alcune delle forme di pagamento del servizio pubblico radiotelevisivo tra quelle vigenti in Europa. [...] In Italia esiste il canone e non sono in vista sistemi di finanziamento diversi, dobbiamo fare in modo che tutti lo paghino per rendere la Rai migliore.”