Giorni caldissimi per la politica e per la storia economica italiana. Mentre cominciano a delinearsi gli effetti di una raffica di misure di austerità per salvare la finanza e l’economia del Paese e lo stesso Silvio Berlusconi ammette di aver dovuto cedere il passo snaturando la sua filosofia liberale (o forse liberista), c’è una sola emittente che sta seguendo in maniera febbricitante ogni piccola sfumatura ed evoluzione del nuovo quadro. Parliamo ovviamente di La 7. Una costruzione sempre più coerente quella dell’astro ‘rinascente’, ben consapevole che solo nel solco di questo momento può diventare veramente il terzo polo televisivo italiano.
Il faro ‘rosso’ della rete è sicuramente il telegiornale di Enrico Mentana, unico baluardo dell’informazione ‘alternativa’ degno di creare un asse con il Tg 3 di Bianca Berlinguer, che ha dedicato un lungo speciale alla riunione fatale del Consiglio dei Ministri sui tagli mettendo in scena la ‘crocifissione’ del ‘povero’ ministro Rotondi costretto a cadere e rialzarsi sotto i colpi di domande e polemiche provenienti anche dagli amici Tosi e Formigoni, opportunamente stuzzicati dal padrone di casa.
Non è da meno però la pungente intraprendenza giornalistica di Luisella Costamagna. Se per Luca Telese eravamo abituati a un profilo di osservatore abbastanza frizzantino nelle ultime sere la bionda compagna d’avventura ha ben affilato le lame verbali non arrendendosi di fronte al politichese dei suoi ospiti. E’ apparsa incalzante, a tratti quasi stizzita dinanzi agli artifici retorici dei malcapitati mandati a giustificare l’apoteosi dell’impopolarità: le tasse. Quasi un sarcasmo santoriano, come a voler far capire da che parte pendesse e quanto poco tollerasse questa retromarcia politica di coloro che dovevano liberare dalle tasse e che invece ora sono esattori come e peggio degli altri.
Nemmeno la breve pausa ferragostana ha placato la ‘bolscevica’ identità di La 7 che giusto per non lasciare perplessità a chi ancora non avesse compreso la direzione futura ha sfoggiato due registrazioni di In Onda dedicate a due personaggi notoriamente schierati: Eugenio Scalfari e Nanni Moretti, da anni cantori dei misfatti e delle false promesse del premier, prontamente sfoderati alla prima occasione in cui il capo del governo sembra ripiegarsi su se stesso nel momento in cui i nodi sembrano venire al pettine.
Il filo rosso, termine casuale, di tutta la nuova gestione sarà con ogni probabilità una rigida contestazione del caos politico attuale. Se il governo sopravviverà al verosimile malcontento generale dell’autunno dovrà comunque vedersela con attentissimi censori pronti a spiattellare ogni passo falso. Basti vedere il grande battage pubblicitario per la serata in cui Mentana introdurrà l’esclusiva prima tv del documentario Silvio Forever, il film che gli autori de La casta, spesso ospiti di rete, hanno realizzato semplicemente montando in serie vari paradossi in cui sarebbe incappato il premier lungo anni e anni di politica mediatica.
Basti pensare all’offerta rivolta a Romano Prodi per la conduzione di un programma di geopolitica o allo spot con cui la rete rende noto ai propri telespettatori l’adesione al codice televisivo di autodisciplina, come a voler sottolineare la propria onestà e la contrapposizione rispetto alle altre offerte di programmazione commerciale. Senza dimenticare che rosso di sera ci sarà anche con Lilli Gruber, Gad Lerner e Corrado Formigli e che il direttore di Rete Paolo Ruffini di certo non farà sconti al centrodestra. Una configurazione ormai chiara che ha ben presente la grossa fetta di pubblico che come naturale conseguenza di un’ideologia politica precisa cercava una rete più libera di Raitre dove identificarsi.
Un mondo televisivo che, più che all’equilibrismo della sinistra moderata che non può perdere mai di vista il baricentro della provocatorietà nel paese della democrazia dell’alternanza, aspira quasi più direttamente ai toni più vibranti del dipietrismo o del vendolismo tenendo comunque conto che l’anomalia del paese è così grande che sarebbe sbagliato vedere tutto, in quello che ai fedeli berlusconiani sembrerà un fuoco di fila, come necessariamente fazioso.
C’è sempre da pesare nella questione l’enorme problema della Rai politicizzata e la necessità, sotto qualsiasi governo, di poter aspirare a un’informazione almeno non formalmente vincolata a nomine dirette dei partiti.
1. shameboy ha scritto:
17 agosto 2011 alle 15:00