18
novembre

GAD LERNER A DM: SU LAEFFE GRANDI FIRME DI REPUBBLICA IN PRIMA SERATA. DEL DEBBIO GIOCA SULL’INVETTIVA GENERICA CHE COPRE I RESPONSABILI DEL DEGRADO. MI HA DIVERTITO L’AUTOCENSURA DI MISS ITALIA (CHE NON HA GIOVATO AGLI ASCOLTI)

Gad Lerner

La tv generalista appartiene al suo passato, il talk show pure. Gad Lerner si professa progressista, ma in campo televisivo ha fatto il “rottamatore”. Le sue scelte, del resto, parlano chiaro: dopo una ventennale carriera tra Rai e La7, ora il giornalista ha abbandonato le emittenti dei grandi numeri ed è approdato a LaEffe, neonata tv di Feltrinelli (canale 50 del digitale terrestre). In qualità di Presidente del comitato editoriale, consulente editoriale ed anchorman, Gad seguirà i contenuti e all’occorrenza comparirà in video. L’intenzione – ci ha spiegato – è quella di realizzare una tv “altra, in cui intrattenimento di qualità e cultura vadano d’accordo. Un’idea, questa, che si riverbera nel palinsesto in divenire dell’emittente e che nasce da lontano…

Questo è un progetto al quale ho lavorato sin dall’inizio con Carlo Feltrinelli. Era un’idea che lui aveva già da qualche anno, nata anche in collaborazione con Telecom e La7, che inizialmente era nella società con un 30% di quote. Poi con Cairo la cosa si è evoluta diversamente. Sento molto mia questa idea che l’evoluzione tecnologica e di mercato della televisione italiana apra degli spazi oggettivi ad una tv qualità in chiaro, che offra prodotti di standard elevato non più solo a pagamento.

Trovi che ci sia poca cultura nella tv italiana?

Direi che c’è una sproporzione clamorosa con la realtà dei consumi culturali di questo Paese, fatta di gente che frequenta i festival, le mostre, le librerie e gli spettacoli di livello. Tutto questo non significa che serva la televisione culturale un po’ barbosa e magari fatta con finanziamenti governativi, come ad esempio Arté, perché il nostro modello è molto diverso. Crediamo che debba esserci intrattenimento, tanta fiction ma vogliamo che questa cosa si sposi con un bisogno di cultura e di qualità troppo spesso sacrificato.

Sogni una tv non barbosa ma, intanto, alla barba ci hai pensato col tuo look… (vedi foto)

(ridiamo, ndDM) Questa barba è colpa del direttore rete Riccardo Chiattelli, perché quando è capitato che io andassi in video, i ragazzi che ci lavorano hanno detto che volevano un bello stacco rispetto alla tv generalista. E siccome io sono pigro e sono felice di tenermi la barba ci siamo subito messi d’accordo. Per cui mi ritrovo con la barba e senza cravatta…

Quali sono gli appuntamenti del palinsesto a cui tieni di più?

A LaEffe abbiamo realizzato un salto generazionale, perché la guida del palinsesto è affidata a Riccardo Chiattelli, che ha poco più di 35 anni e vanta una esperienza internazionale. Conosce il mercato audiovisivo, viene da Fox e Sky, ha seguito la start up di Cielo: questo a garanzia del fatto che il linguaggio Feltrinelli sarà innovativo e giovane. Io sono nella retrovia. In questa fase embrionale, il nostro biglietto da visita sono state delle serie tv di qualità come Borgen, che mi stupisce non sia stata presa da reti più grandi della nostra. Lo stesso vale per Uomini di fede. Riguardo al nostro pubblico, poi, non credo sia casuale che la sera più seguita sia quella della domenica, con i grandi classici della letteratura.

Avete in programma altre novità?

Il palinsesto prenderà una forma più definita a partire dal 2014, quando ci sarà anche un innesto più deciso da parte dell’altro partner, il gruppo L’Espresso. La professionalità giornalistica della grandi firme di Repubblica non si esprimerà più soltanto nei notiziari, ma anche in trasmissioni di prima serata. Finora il palinsesto è costituito soprattutto da acquisti, ma con l’anno nuovo avremo anche produzioni nostre sia sulla cultura che sull’informazione.

Sei consapevole che qualcuno potrebbe rimproverarvi di essere un’emittente radical chic?

Perché non diciamo più direttamente che Feltrinelli più Repubblica uguale cultura progressista di questo Paese? Sono due famiglie che hanno in comune diversi valori e un orientamento di impegno civile molto riconoscibile: la partnership nasce da un’affinità culturale in tal senso. L’etichetta di radical chic dovremmo attribuirla ad una componente di questo Paese fatta da milioni di persone. Certamente va evitato il pericolo di cadere in un atteggiamento elitario, e in questo Chiattelli è importante, ma non mi pare che quando uno entra in una libreria Feltrinelli la sua prima impressione sia radical chic.

A tuo avviso il talk show è morto, come sostengono alcuni?

Sentenze di vita o di morte non ne darò mai, anche perché non sono abituato a sputare nel piatto in cui ho mangiato. Ma allo stesso tempo la mia scelta non è casuale: io su LaEffe non farò più talk show. Considero felicemente conclusa una stagione ventennale della mia vita, credo che l’esigenza che provo di sperimentare un diverso linguaggio giornalistico possa corrispondere ad una tendenza del pubblico. L’usura del talk show e la sua inflazione sono entrambe evidenti, con un frazionamento e un calo complessivo degli ascolti.

Lo scorso gennaio, presentando Zeta, criticasti i “nuovi paladini della giustizia sociale” sorti in tv. A cosa ti riferivi, in particolare?

Se ci fossero davvero dei programmi paladini della giustizia sociale mi guarderei bene dal criticarli. Invece ho notato che ormai è diventato un genere retorico quello di rappresentare le lacrime della gente in difficoltà come puro rumore di fondo o, peggio, come oggetto di generica invettiva contro tutto e tutti, dunque contro nessuno. Di questo mi sembra tipico il successo di Paolo Del Debbio e di Quinta Colonna, che è il frutto della elaborazione raffinata da parte di un conduttore-intellettuale tutt’altro che sprovveduto, il quale gioca sull’invettiva generica. Questo generalizzare serve a coprire i responsabili del degrado. E non è casuale che questa impronta populista sia stata portata al successo da una tv di Berlusconi e da uno dei fondatori di Forza Italia.

La7 è in parte cambiata con l’arrivo di Urbano Cairo. In cosa riscontri maggior discontinuità col passato?

Io ho contribuito alla fondazione di La7, che nasceva come una tv alternativa al duopolio Rai-Mediaset. Oggi mi pare invece che la scelta fatta sia quella di competere sullo stesso terreno delle altre generaliste. C’è stata una compressione dei costi, e questo è ragionevole, ma c’è stata anche una commistione per cui certe trasmissioni oggi possono indifferentemente comparire su Mediaset, Rai o La7. Mi pare che Cairo abbia fatto una scommessa di marketing: ritenendo che non si potesse acquisire nuovo pubblico con la fisionomia di una La7 ‘alternativa’ (dei cui proventi pubblicitari egli ha beneficiato), ha sommato al target medio-alto delle nostre trasmissioni quello medio-basso, in senso tecnico. E’ troppo presto trarne un bilancio, ma mettere insieme due pubblici così diversi è certamente un’operazione ardita.

Di’ la verità: cosa hai pensato vedendo Miss Italia in onda su La7?

Ho guardato solo pochi minuti di quella trasmissione. Mi ha divertito e gratificato allo stesso tempo il grado estremo di impaccio e precauzione con cui non si osava fare la solita Miss Italia, quella con le ragazze in costume da bagno e col numero riportato a guardare tette e culi, per stabilire chi fosse la più meritevole. E’ come se ci fosse stata un’autocensura che probabilmente non ha giovato agli ascolti, ma che segnala una maturazione culturale di questo Paese. Io non sono scandalizzato che ci sia Miss Italia; trovavo del tutto anomalo che andasse in onda su Rai1, ma che un’emittente privata trasmetta il concorso mi sembra una cosa normale. Che questa sia stata la scelta di La7 è solo la conferma di quel cambiamento che è sotto gli occhi di tutti.

Condividi le critiche espresse dalla Boldrini su Miss Italia?

La Boldrini si è limitata a constatare che Miss Italia con Rai1 è un binomio che come tale esisteva solo nel nostro Paese. Quindi condivido in pieno le sue parole.

Tutti ricordiamo le puntate de L’Infedele dedicate al corpo delle donne. Che fine ha fatto quella tua campagna culturale?

Non dico che quella battaglia l’abbiamo vinta, perché sarebbe sciocco, ma sicuramente dei risultati li abbiamo portati a casa. Persino Antonio Ricci ha sentito il bisogno di inaugurare Striscia la Notizia con la provocazione dei velini maschi, e questo segnala che ormai il problema dell’abuso e della mortificazione del corpo della donna in tv se lo devono porre tutti, anche i programmi di maggior ascolto. Ricci lo ha fatto a modo suo, con una parodia, però ha dovuto avvertire e subire lo spirito dei tempi.

Di recente hai polemizzato con Salvo Sottile per un titolo infelice comparso in sovrimpressione a Linea Gialla. Ci racconti come è andata?

Sottile non l’ho nemmeno citato. Facendo zapping, nell’intervallo della partita Torino-Inter, ho visto quel titolo e l’ho twittato -confesso – con un paio di telefonate ad amici de La7 e ad Urbano Cairo stesso, col quale conservo ottimi rapporti. Mi ha fatto piacere notare che pochi minuti dopo quel titolo era sparito e ci sono state le scuse in diretta. Chiuso l’incidente.

L’arrivo della cronaca nera nel palinsesto di La7 è un altro elemento di discontinuità. Come lo giudichi?

Non intendo impicciarmi nelle scelte di palinsesto di La7, che rispetto. La mia scelta personale è stata quella di lasciare, anche se con Cairo il rapporto è sempre stato ottimo e lui mi avesse chiesto di proseguire la collaborazione, pur precisandomi che era sue intenzione imprimere una svolta. Nulla avrebbe impedito che io lavorassi sia a La7 che a LaEffe, ma io ho preferito interrompere perché mi è troppo cara l’esperienza di La7 e sono molto soddisfatto di quello che abbiamo creato da nulla, in anni in cui il duopolio lasciava un vuoto difficile da riempire. Ho preferito chiudere in bellezza quell’esperienza piuttosto che trascinarla.

Come si prepara LaEffe a raccontare una situazione politica così movimentata?

Con due soli criteri: innanzitutto niente talk show e poi cercheremo di non essere ‘palazzocentrici’. Cercheremo di sviluppare un racconto della società italiana e della dimensione internazionale guardandole da fuori e dal basso.

Non nascondete la vostra cultura progressista: allora sarete voi a pungolare la classe dirigente del Pd in tal senso?

Non lo credo affatto, perché quando dico che non saremo ‘palazzocentrici’ significa che saremo piuttosto distaccati dalla contesa politica. Non qualificherei LaEffe come la televisione di sinistra, ma piuttosto come un’emittente di intrattenimento di qualità e di cultura, in cui la storia della Feltrinelli – nata con Il Dottor Zivago ed oggi caratterizzata da personalità come Saviano – non ha etichettature partitiche.

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2 Commenti dei lettori »

1. Annamaria ha scritto:

19 novembre 2013 alle 14:55

Carissimo Gad,
mi permetto di manifestarti il mio disappunto per la tua decisione di non condurre più talk show di attualità politica: penso che dovresti proseguire per almeno 2 o 3 anni con l’intento di far scuola ai giovani; dovresti tirar fuori altri che conducano alla tua maniera facendo “divulgazione” e soprattutto scegliendo ospiti di qualità che fanno comprendere il punto in cui si è sulle varie questioni e aprendo anche nuovi orizzonti ancora non argomentati da giornali o altre TV.
Seguo l’attualità e le tue trasmissioni erano le uniche che permettevano di chiarire e comprendere i problemi; non c’erano accavallamenti di interventi dei partecipanti e si comprendeva che dietro c’era un lavoro di preparazione notevole, non fazioso, ed eri capace di mantenere la discussione sull’obbiettivo.
Non devi credere alla solita storia del “largo ai giovani”; anzi bisogna favorire un “avanti ai giovani” che vanno facilitati con esempi giusti.
Direi che il tuo lavoro era davvero un “servizio pubblico” e ti prego di prendere in seria considerazione queste parole; anche la Effe si gioverebbe sicuramente di una trasmissione di attualità politica in questo momento di lancio.
PS.: anche altri miei amici la pensano così.
Auguri e saluti.
Annamaria



2. Carl2000 ha scritto:

20 novembre 2013 alle 14:20

Che schifo di uomo OSCENO!



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