Partiamo da un assunto: per quel che mi riguarda, servizio pubblico può essere tranquillamente un reality. Badate bene, anche reality in senso stretto che non abbia fini pedagogici e/o pseudo-sociali. Perchè l’errore più comune commesso dall’intellighènzia della tv sta tutto nell’identificare la mission della tv pubblica con l’indottrinamento del pubblico, con programmi dal linguaggio aulico e poco comprensibile, permeati da quell’aura radical chic che compiace solo chi la mette in piedi.
Programmi del genere, infatti, pur riscuotendo grassi consensi di critica, allontanano inevitabilmente gli spettatori, rendendo il servizio pubblico un “servizio per pochi intimi“. Ho sempre ritenuto che la televisione, per assolvere alla mission che una tv di Stato deve necessariamente far propria, debba mixare alto e basso, aulico e popolare, informazione e intrattenimento. Perchè c’è modo e modo di ‘istruire’ ma i professori con la bacchetta agli studenti non sono mai piaciuti. Se, poi, all’interno delle lezioni non metti la ricreazione, quale pensate che possa essere l’effetto dell’insegnamento?!
Ecco perchè non ho approvato le ultime scelte dei vertici Rai. Quelle che, in parole povere, hanno ammazzato programmi come La Vita in Diretta, divenuto oramai una sorta di telegiornale chiacchierato ai quali la ‘massaia’ preferisce di gran lunga Il Segreto. Capite? Una te-le-no-ve-la. O, ancora, quelle scelte che hanno portato alla cancellazione dei reality dagli schermi dell’azienda di Viale Mazzini, neanche fossero l’origine di tutti i mali. Più onesto sarebbe stato affrontare ogni singolo caso, perchè il “male” non sta nel genere ma nel modo e alcuni programmi di infotainment possono essere ’spazzatura televisiva’ quanto e più di un reality realizzato con tutti i sacri crismi.
Succede, poi, che esistano delle oasi felici, distintesi per essere riuscite a sintetizzare un’ottima formula di ’servizio pubblico’.