Ha l’occhio dell’analista, Carlo Freccero. Del guru che osserva il flusso televisivo accomodato sulla riva del fiume. “Io non sono un critico della tv, ma uno che cerca di capire come funziona il piccolo schermo” ci dice, mentre parla a tutto campo – e col piglio del professore – dei programmi che più richiamano l’attenzione del pubblico. L’ex dirigente Rai e Mediaset sbertuccia L’Isola dei Famosi, commenta il palinsesto della prima rete della tv pubblica, senza trascurare il satellite con 1992 – La serie e l’altra produzione di Lorenzo Mieli Italia’s Got Talent, migrata sul satellite. Ma soprattutto si accende quando gli chiediamo della riforma della Rai targata Renzi, che ha ottenuto un primo via libera dal Consiglio dei Ministri.
Come le sembra?
Non è ancora una riforma, Renzi ha presentato solo un’ipotesi di legge. L’attuale governance Rai è in scadenza, quindi il premier ne ha approfittato per dire che ci sono tre mesi di tempo. Qui ci sono diversi format renziani, per usare un linguaggio televisivo. Il primo è quello di annunciare le cose prima che esse si avverino, occupando così l’agenda mediatica. Un secondo format è l’idea che chi comanda in Rai debba essere uno solo: si chiama economia della disintermediazione, cioè eliminare le mediazioni del CdA ed avere un uomo solo al comando, che in questo caso abbia il profilo del renzista. Un ulteriore format è quello della demagogia, con la proposta di eleggere un rappresentate dei dipendenti Rai. Ma siccome lì molti sono super raccomandati, forse anche questo sarà un renziano. Non mi sembra una riforma che caccia i partiti dalla Rai, mi aspettavo che questo premier seguisse un criterio e presentasse un piano editoriale, industriale, economico. Invece sarà una Rai monocolore.
Renzi ha anche dichiarato di voler fare della Rai “la più innovativa azienda culturale che esiste in Europa”…
Ma questi sono luoghi comuni. La situazione è più complessa, il modello Rai era legato ad una specificità europea, quella del welfare, che la legava in qualche modo ad una continuazione della pubblica istruzione. Ma nel momento in cui l’economia diventa neoliberista, ecco che la Rai diventa un ossimoro, una contraddizione. Ormai le agenzie culturali sono molteplici e non legate ad un’entità statale, quindi capite perché è un luogo comune.
Un’altra caratteristica della nuova Rai dovrebbero essere le nomine trasparenti. A suo avviso questo sarà un obiettivo raggiungibile?
Per raggiungerlo ci vorrebbe – come dicevo – un progetto industriale, culturale, finanziario. Invece per ora è tutto poco chiaro, è ancora una volta un effetto speciale renziano che il premier aggiunge a quel treno di annunciate riforme lanciato nell’immaginario delle persone.
Cosa pensa, invece, della riforma dell’informazione Rai messa a punto da Gubitosi?
Diciamo subito che è un’assurdità che la Rai abbia così tante testate e redazioni, ma questo è dovuto al fatto che una volta ogni rete rappresentava un punto di vista, un’interpretazione della realtà. Questa era la lottizzazione. Oggi la Rai è un’azienda commerciale quindi deve nascere una razionalizzazione dell’informazione, ma spero che questa non sia solo una mossa economica. Quello che ha fatto Gubitosi va bene però non basta, serve un piano editoriale che specifichi cosa deve fare l’informazione: oggi infatti la tv pubblica assolve a due ruoli, cioè l’informazione e la produzione di immaginario attraverso la fiction, mentre tutto il resto è in mano alla tv commerciale. Ma la Rai ha un personale adatto a questa cosa?
Parliamo di trasmissioni in onda, invece, che ne pensa del palinsesto di Rai 1?