Che la televisione sia diventato ormai un mezzo di comunicazione rivolto alle fasce sociali che si trovano in posizione periferica rispetto alla rivoluzione tecnologica lo dimostrano i dati e le tendenze, che però proprio questa stessa televisione, che parla esattamente a quelle persone non sfiorate dalla sfida digitale, ignori la rete di bisogni del cittadino è un fenomeno preoccupante. Appare sicuramente discutibile, infatti, la scelta del servizio pubblico, in primis con la sua rete ammiraglia Raiuno, di spegnersi di anno in anno sempre prima abbandonando la direzione dei contenuti al ‘letargo’ della diretta, accartocciandosi in buona sostanza su un range di magazzino sicuramente non consono ad un primo canale nazionale. Come se tutti fossero già al bivacco sul bagnasciuga e volessero ritemprarsi dopo un anno di esposizione mediale.
Come se gli italiani fossero tutti pronti a fiondarsi tutte le sere in strada a scialacquare i ritagli dello stipendio, i palinsesti del nostro Paese tendono a chiudere battente presto, troppo presto. Non che la qualità delle stagioni a pieno regime sia tale da far sentire un crollo di appeal nell’approccio al piccolo schermo, ma il blocco alla normale programmazione che parte ormai un mese prima rispetto al naturale inizio dell’estate appare davvero un’esagerazione, specie in una contingenza socio-economica di così forte depressione in cui gran parte degli italici consumatori devono dosare con grande maestria la vita mondana.
E non vengano gli illustri climatologi a raccontarci che per caratteristiche geografiche può essere fisiologica una diversa gestione del tempo libero degli italiani rispetto ai colleghi europei. Nel principio d’estate in cui spesso fa più caldo al Nord che al Sud regge ben poco la motivazione che gli europei possono stare con più piacevolezza davanti ai teleschermi. E più che altro questione di cultura del servizio e dell’offerta destinata al pubblico. Il secondo e il terzo polo catodico sembrano aver compreso la nuova fenomenologia del consumo e, seppure a piccole dosi, stanno garantendo più a lungo un palinsesto che rispetti almeno un minimo il diritto del telespettatore ad una programmazione non dichiaratamente di ’scarto’.
L’anomalia della Rai, e di Raiuno in particolare, cresce di dimensione se si allarga per un attimo il ventaglio di confronto e di riferimenti. Solo per fare due esempi di cosa succede altrove basti considerare come i cugini francesi faranno partire quello che è ormai il loro reality di punta (Secret Story) nella prima decade di luglio, oppure come la Germania abbia ritagliato spazio per il proprio Big Brother nei mesi che vanno da maggio ad agosto. Troppo caldo? Basta fornire il giardino della casa di docce high-tech rinfrescanti e le scuse sono finite.
Nell’Italia dei nonni che come retaggio giovanile vivono in simbiosi con il primo canale, quegli abbonati Rai che non riescono ad orientarsi con padronanza nell’abbondanza del digitale, c’è davvero pochissima scelta. Degli appuntamenti giornalieri rimane quasi nulla, in prime time è più che altro Raitre a uscire più dalla logica del risparmio tra qualche diretta che rimane (Mi manda Raitre) e qualche esperimento come l’ambizioso Hotel Patria.
Non è paradossale che siano proprio le reti commerciali, che non hanno vincoli formali di servizio pubblico e canone, a dare qualche prodotto non stagionato ai propri utenti (vedi La notte degli chef, I Liceali, Tamarreide)? Persino le associazioni dei consumatori che per anni hanno provato a invertire la tendenza ritenendo illegittimo un gioco così al ribasso nella composizione dei palinsesti dei mesi caldi sembrano aver mollato la spugna: la cattiva abitudine del letargo sembra essere entrato nel dna della nostra industria culturale. Nolenti o volenti si deve metabolizzare questa logica.
Belli i tempi dei programmi anche di intrattenimento leggerissimo che rimbalzavano nell’etere stellato estivo (dal leggendario Giochi senza frontiere alla versione Rai di Beato tra le donne). La programmazione attuale sembra aver perso il sano gusto del gioco, lo spirito ludico in sé e per sé. Per i più fini apprezzatori della storia culturale e del costume del nostro paese questi palinsesti- nostalgia possono anche essere una ventata di positive rimembranze, per il grosso pubblico, proprio quello a cui la televisione spera di fare compagnia, poco o nulla.
Nessuno pretende certo che gli stakanovisti dell’ammiraglia vadano in onda anche a luglio e ad agosto. Basterebbe semplicemente lasciare campo aperto alla sperimentazione di idee nuove e volti giovani di rinfresco, non spegnere la luce della comunicazione dinamica e costante. Per i limoni spremuti fino al midollo, controprogrammazione praticamente fotocopia ed esasperazione massiccia e totale ci bastano già le sessioni post-estive.
E’ così utopica l’idea di sondare il cambiamento di gusto attraverso il campione estivo di telespettatori fedeli alla tv?
1. Fexys ha scritto:
25 giugno 2011 alle 20:19