La maggiore industria culturale del Paese – ovvero la Rai – non farà parte della piattaforma culturale online voluta dal Ministro Franceschini. Il paradosso basta, da solo, a destare legittime perplessità nei confronti dell’ambizioso progetto, per il quale il Mibact ha già stanziato dieci milioni di euro. La cosiddetta “Netflix della cultura“, inserita tra le misure del decreto Rilancio, ha certamente un obiettivo nobile ma le premesse non sono tra le più promettenti.
In un momento difficilissimo per il settore, l’idea di creare una piattaforma che dia risalto alla produzione culturale italiana (nelle sue vari declinazioni) è di per sé meritoria. L’indirizzo sinora impresso all’operazione, tuttavia, non convince. A cominciare dalla gestione, per la quale è stata costituita una nuova società controllata al 51% da Cassa Depositi e Prestiti Spa e al 49% da Chili Spa, azienda privata operante nel settore dei video on demand (mai decollata del tutto).
E mentre la piattaforma si prepara al lancio, previsto con l’inizio del nuovo anno, balza all’occhio una grande assente: la Rai. Formalmente, la macroscopica esclusione sarebbe motivata dal fatto che il servizio pubblico – per sua stessa definizione – non potrebbe realizzare un sistema che preveda contenuti a pagamento. Tale argomentazione, tuttavia, non convince nemmeno il Parlamento, che attraverso la Vigilanza Rai (con una lettera del Presidente Alberto Barachini) ha domandato al Ministro Franceschini le esplicite motivazioni del mancato coinvolgimento dell’azienda di Viale Mazzini. Sempre sul fronte politico, il Movimento Cinque Stelle M5S ha presentato un’interrogazione per chiedere chiarimenti a Franceschini rispetto al coinvolgimento di Chili, azienda – accusano i pentastellati – “con una posizione debitoria con 8 bilanci in passivo per oltre 50 milioni di euro di debiti“.
E la questione è destinata ad essere affrontata anche dal CdA Rai. I consiglieri Rai Rita Borioni e Riccardo Laganà hanno infatti inviato una lettera al Presidente Foa e all’AD Salini per chiedere una relazione, da discutere durante la prossima seduta del 16 dicembre, sulla mancata partecipazione della Rai al progetto culturale. “Riteniamo che tale proposta istituzionale sia di rilevanza strategica per Rai e dunque anche di competenza del CdA in virtù delle prerogative di indirizzo e controllo” hanno scritto i consiglieri, chiedendo delucidazioni sulle notizie secondo cui i vertici Rai non avrebbero neppure formalmente risposto alla richiesta di adesione da parte del Mibact.
In effetti l’assenza dell’azienda di Viale Mazzini è un vero e proprio nonsense: il servizio pubblico, infatti, non solo ha già una piattaforma funzionante per la quale sono stati stanziati investimenti – ci riferiamo a Rai Play ovviamente – ma possiede anche un vastissimo bouquet di contenuti nuovi e d’archivio, che spaziano dalla storia alla documentaristica, dal teatro alla lirica, passando per l’arte nelle sue svariate forme. Per quale motivo il progetto ministeriale dovrebbe ignorare questa consolidata realtà per puntare invece su un’iniziativa di cui si intravede (a fatica) soltanto l’impalcatura? O sono stati i vertici Rai a non volervi prendere parte?
Il timore è che in Italia si trovi sempre il modo di complicare inutilmente le cose, con il rischio di compromettere anche le migliori intuizioni.