I talenti non sono mancati. I momenti intensi ed emozionanti, o quelli da ridere, nemmeno. Eppure, a riflettori spenti, l’edizione 2018 di The Voice ci ha lasciato una certa sensazione di incompiutezza. Come se allo show di Rai2 fosse mancato qualcosa per essere davvero imperdibile e degno di essere ricordato come tale.
La responsabilità di tale impressione non può certo essere attribuita ai giovani concorrenti che si sono susseguiti e sfidati nelle otto settimane di programma. Tra di essi abbiamo ascoltato anche talenti meritevoli d’attenzione, a cominciare dai quattro finalisti e dalla vincitrice Maryam Tancredi, che ora dovrà giocarsi bene l’opportunità ricevuta per riuscire ad affermarsi sulla scena musicale.
Gli anelli deboli dell’edizione 2018 del programma sono stati, piuttosto, una conduzione a dir poco mediocre ed un nuovo meccanismo non privo di pecche. Quanto al presentatore Costantino della Gherardesca, (come prevedibile) c’è poco da argomentare: bastava guardare una puntata di The Voice per rendersi facilmente conto della sua completa inadeguatezza al ruolo ricoperto. Impacciato e spesso algido con i concorrenti, più volte il conduttore ha dimostrato di non saper cogliere gli spunti provenienti dallo studio, in particolare dai coach, e di non conferire un adeguato risalto agli snodi decisivi dello show. Nelle prime sette puntate, il montaggio ha in parte sopperito a queste mancanze, ma il live show finale si è rivelato impietoso in tal senso: la diretta, si sa, non perdona.
In finale «Costa» ha anche rinunciato alla sua indole dissacratoria, lasciandosi invece andare a eccessivi complimenti e a superlativi non richiesti nei confronti di coach e concorrenti. La sua postura impettita ed i toni spesso ampollosi, di maniera, non hanno certo contribuito a rendere la sua prestazione gradita al pubblico. Anzi.
Quanto al nuovo meccanismo, invece, da una parte è stata apprezzabile la scelta di ridurre il numero delle puntate e di snellire così le fasi della gara, dall’altra però questa riformulazione non ha consentito al pubblico di affezionarsi ai concorrenti e di seguirne l’evoluzione nel corso del talent. Al riguardo, si pensi che i giovani finalisti sono apparsi in sole quattro delle otto puntate totali e non vi è stato nemmeno il tempo per conoscerli adeguatamente: alla semifinale, infatti, i contendenti erano ancora ben sedici. Poi decimati di colpo, in modo un po’ drastico. E’ mancato ancora una volta il daytime o almeno un’altra estensione televisiva dello show, come ad esempio un talk post puntata o un “processo” in un’altra collocazione.
E i coach? Il quartetto era equilibrato e ben assortito. A tratti anche sorprendente: Cristina Scabbia, al suo positivo debutto in tv, ha lasciato trasparire un’adorabile sensibilità al di là della scorza metal, affezionandosi in modo particolare al suo finalista. Il ricorso alle puntate registrate, però, ha tolto allo show imprevedibilità e quelle piccole polemiche che solo la diretta riesce ad innescare e che mettono pepe al racconto televisivo. La presenza di Albano, infine, poteva essere ulteriormente valorizzata, vista l’attenzione che l’artista pugliese nelle ultime settimane aveva attirato su di sé.
1. Emy ha scritto:
12 maggio 2018 alle 09:24