C’è una domanda che più di qualche telespettatore si sarà posto in passato: che fine ha fatto Agrodolce? La soap opera che doveva “rilanciare” Termini Imerese, dopo una prima stagione con ascolti tutto sommato buoni per lo slot delle 20 – orario in cui il pubblico è in gran parte sintonizzato sui tg nazionali – è misteriosamente scomparsa dagli schermi della terza rete pubblica. Il progetto era stato fortemente voluto da Giovanni Minoli, allora Direttore di Rai Educational e anche ideatore di Un Posto al Sole, e l’intenzione era chiara: sviluppare un prodotto cinematografico con un budget ristretto. Una missione forse un po’ troppo avventata, come sottolineato da più parti, e troppo coraggiosa.
A metter luce su una situazione piuttosto curiosa è una lunga inchiesta de Il Fatto Quotidiano che ha cercato di ricostruire tassello per tassello tutte le vicende che hanno caratterizzato la produzione Rai e Einstein dall’avvio del progetto alla sua misteriosa conclusione, con l’aiuto di fonti ufficiali e di registrazioni ambientali ad opera del Presidente di Einstein Luca Josi che, dopo i primi problemi riscontrati, ha registrato tutte le conversazioni con le figure chiave della produzione, tra cui Giovanni Minoli. Visto l’assordante silenzio che ha fatto seguito all’inchiesta del quotidiano di Padellaro, abbiamo pensato di ‘rilanciare’ anche noi la questione Agrodolce, così come analizzata dal Fatto.
Partiamo dai costi. L’intenzione di Giovanni Minoli era chiara: mettere in piedi una produzione cinematografica con il budget di una soap opera. Una missione impossibile per Luca Josi, proprio per una questione di costi. Se una fiction come Capri è costata 12 mila euro a minuto e un film per il grande schermo come Baaria è costato 166 mila euro a minuto, come si può pensare di avviare una produzione cinematografica per il piccolo schermo con il budget di una soap opera? Per Minoli era un’assoluta priorità, ma il contratto tra Rai e Einstein poneva dei limiti chiari.