Solo un anno fa le sirene dell’antipolitica, vera o presunta, lo avevano ammaliato: no a ospiti politici in studio, si a reportage e servizi. Inutile dire che fu un gran bel vedere, e non fu così difficile fare a meno del cicaleccio in studio tra parti che, spesso, si fronteggiavano solo per il gusto di avere l’ultima parola. Ma, a un anno di distanza, il vento sembra cambiato. E adesso, anche Michele Santoro pare tornato sui suoi passi.
Sebbene il successo di pubblico ottenuto nell’esordio di Servizio Pubblico su La7 lo metta al riparo da critiche e appunti vari, non si può fare a meno di notare come il formato dell’anno scorso sia già invecchiato. A parte gli opinabili inseguimenti -qui apprezzati- a politici inquisiti (Bertazzoni) e ministri sfuggenti (Innocenzi), i politici in studio (Matteo Renzi e Gianfranco Fini) hanno recitato la parte del leone, come invece non succedeva affatto l’anno scorso. Solo l’irruenza delle domande di Santoro, e la verve dell’intervento di Marco Travaglio -più conciso che in passato- hanno spezzato i trascurabili battibecchi in studio.
A fare la differenza, invece, sono state le testimonianze “da fuori”, come quella raccolta da Claudio Pappaianni, che ha intervistato i genitori di Lino Romano, innocente bersaglio della camorra. Anche l’intervista a Ruby, al netto delle evidenti contraddizioni di cui la ragazza è sempre rimasta vittima, ha fatto emergere la sincera innocenza con cui Ruby negherebbe alla futura figlia di partecipare ad una delle feste cui lei, invece, ha preso parte.