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GIORGIO GORI PROPONE “DUE” RAI, NOI NON SIAMO D’ACCORDO.
di Mattia Buonocore
24/01/2012 - 14:49

L’influenza dei partiti che condiziona le scelte editoriali, l’alto tasso di turnover ai vertici e una doppia mission: l’obbligo di fare servizio pubblico e la necessità di competere sul mercato. Di gatte da pelare la Rai ne ha da vendere, soprattutto in un periodo più che mai complicato per gli epocali cambiamenti che stanno investendo il settore radiotelevisivo.
Pochi giorni fa sul Corriere della sera Giorgio Gori ha proposto di “biforcare” l’azienda, distinguendo nettamente i canali destinati ad assecondare logiche commerciali (l’ex numero 1 di Magnolia indica provvisoriamente Rai1, Rai2, Rai4, Rai Premium, Rai Movie, Rai HD) – da finanziare esclusivamente con la pubblicità a valori di affollamento analoghi a quello delle reti private – da quelli di servizio pubblico finanziati totalmente dal canone, a fronte di una completa rinuncia alla pubblicità. Una proposta che non ha trovato d’accordo Agostino Saccà che, intervenuto sullo stesso quotidiano, nega l’esistenza di un problema di governance, citando a supporto della sua tesi gli ascolti registrati dalla televisione di Stato negli ultimi anni.
Posizioni opposte tra le quali DM non si sente di scegliere, optando per una terza via mediana. Non crediamo, innanzitutto, in una Rai dicotomizzata. Eliminare completamente la pubblicità da alcuni canali potrebbe equivalere a rinunciare a ghiotte occasioni di profitto (vedi i canali per bambini o Rai3). Allo stesso modo risulterebbe paradossale imbattersi in format simili su Rai1 e Rai3 ma con un diverso trattamento, cosa che peraltro nel lungo periodo spingerebbe inevitabilmente la rete ammiraglia a limitare la produzione di “generi alti” che per questioni di identità della rete e di economie di palinsesto non possono comunque mancare. Sarebbe complicata anche la scelta dei canali da destinare al servizio pubblico in quanto molti di essi hanno insite le due anime. E’ il caso di Rai Movie – provvisoriamente escluso da Gori – che propone commedie ma anche film d’autore.
Una soluzione auspicabile potrebbe essere quella di eliminare o minimizzare il carico pubblicitario di determinate produzioni giudicate di servizio pubblico per aumentarlo, al pari di una televisione commerciale, in altre a seconda del genere ma anche dall’appettibilità per gli inserzionisti pubblicitari. Si verrebbero di fatto a creare canali spiccatamente commerciali e canali di servizio pubblico ma in un sistema completamente flessibile che schiva una ghettizzazione dei generi da servizio pubblico.
Le risorse derivanti dal canone potrebbero altresì sostenere laboratori creativi di giovani autori capaci di innescare circoli virtuosi dell’innovazione. Allo stesso tempo la Rai deve liberarsi dal macigno della politica, ed è condivisibile il modello, proposto da Gori, della BBC dove un’autorità super partes (là la regina, qui il Capo dello Stato) nomina un Trust con funzioni di indirizzo e controllo, e questo seleziona i (pochi) manager che compongono il Comitato esecutivo, guidato da un Amministratore delegato con ampi poteri.
Anche se per il futuro non ci sentiamo di scartare l’ipotesi di fare della Rai una public company.
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leo dice:
Solo io penso che alla Rai possa bastare anche solo un paio di canali su cui fare servizio pubblico senza alcuna pubblicità e magari tenere canone medio e aprire a donazioni di fondazioni. Non capisco per quale motivo la Rai debba fare soldi con l'"intrattenimento puro". Fate tutti i liberali e poi volete che lo Stato monopolizzi il mercato come nell'URSS.
lele dice:
Prima di passare alla public company penso che sia necessario portare la Rai alle regole del codice civile e rivedere il canone.
Mike dice:
Non so se i commentatori in questa pagina parlano per sentito dire o cosa… la Regina cosa fa? Proprio nulla di quanto è scritto! Spiacente, ma la Regina da solamente “la firma” agli atti: chi decide è SEMPRE il Governo britannico (Cameron dal 2010, prima era Brown e così via a ritroso), non di certo la Regina… altrimenti a Londra ci sarebbe una specie di dittatura! E da quando il Quirinale in Italia è una “autorità super partes”? Di certo NON lo è più dal 1992 (elezione di Scalfaro) in poi… davvero, DM, vogliamo la dittatura del Quirinale (anche) in RAI? No, grazie! A questo punto, sarebbe stato meglio abrogare la Riforma del 1976 e tornare a come era prima: la RAI era “guidata” dal governo e NON dalla Commissione di Vigilanza RAI: notare che da quando il controllo è passato dal Governo al Parlamento, la politicizzazione è schizzata alle stelle… e da quando la programmazione (monocolore) di Rai 3 fa “servizio pubblico”? Almeno il “servizio pubblico” (ovviamente monocolore) di Santoro (da qualche mese) è “gratis” per le casse dello Stato: quello di Rai 3, invece, deve stare a carico dell’Erario?!? No, grazie!