21
maggio

White Lines: omicidi e narcotraffico in stile soap

White Lines

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Quando il mondo di Ibiza incontra l’autore de La Casa di Carta la svolta soap è dietro l’angolo. Accade in White Lines, nuova serie tv di Alex Pina sbarcata lo scorso weekend su Netflix. Dieci episodi incentrati sul misterioso omicidio del dj inglese Axel Collins (Tom Rhys Harries), avvenuto vent’anni prima e capace di spingere la sorella minore Zoe Walker (Laura Haddock) fino all’isola spagnola per appurare, con dei metodi poco ortodossi, quello che è successo. Un’idea di base, già di per sé non irresistibile, che si perde nel corso della narrazione.

Al centro della storia c’è Zoe, eroina anomala. Ricoverata in una clinica psichiatrica all’età di 17 anni, in seguito ad un esaurimento nervoso avvenuto per via della scomparsa di Axel, la Walker non ha mai vissuto fino in fondo la sua esistenza ed ha finito per sposare Mike (Barry Ward), un uomo che la ama tantissimo – e padre della sua unica figlia – ma che la protegge a dismisura. In questa vita piena di restrizioni c’è anche Clint (Francis Magee), il papà di Zoe. Ad Ibiza, la donna verrà presto catapultata in un mondo che non conosce, fatto di bugie, sotterfugi, omicidi, orgie e soprattutto di commercio illegale di cocaina. Un vortice di emozioni, mai provato, che farà sprofondare Zoe in una crisi personale.

White Lines, recensione: una storia condita dai flashback tipici di Alex Pina

La storia si serve di due piani temporali: il passato e il presente. Vari flashback danno infatti modo ai telespettatori di scoprire la vita sfrenata – piena di lussi, sess0 e droga – che Axel conduceva. Una scelta già utilizzata da Alex Pina ne La Casa di Carta con i continui rimandi all’organizzazione dei colpi eseguiti dalla banda del Professore. Inoltre, Zoe tende spesso a raccontare in prima persona quello che sta per succedere, un po’ come fa la criminale Tokyo nella serie mainstream di Netflix.

Per dare più veridicità alla storia ma, Pina ha seguito la stessa tecnica di Narcos, facendo sì che i personaggi di nazionalità spagnola parlassero nella loro lingua madre senza essere doppiati. Il linguaggio iberico si mischia quindi a quello inglese, anche se quest’ultimo primeggia. Una scelta che per la versione italiana ha in realtà poco senso e infastidisce lo spettatore.

Il racconto, come se non bastasse, si perde spesso e a volte si ha l’impressione di stare guardando una soap (dal piglio lieve): Zoe prende una sbandata per un altro uomo, mentre tutti gli altri personaggi si trovano invischiati in triangoli amorosi di difficile risoluzione e c’è chi persino ammette di provare attrazione per la propria madre. Le buone performance degli attori danno manforte a dei personaggi poco incisivi. Non fai il tifo per loro nè li odì; la stessa protagonista è antipatica.

La storia scorre abbastanza velocemente, seppur con qualche risvolto più che prevedibile, e si conclude completamente con il primo ciclo di episodi. Netflix non si è ancora espressa su un ipotetico rinnovo della serie, ma un eventuale proseguimento – se proprio necessario – potrebbe avvenire solo cambiando il focus della storia.

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