Non ho fatto mai mistero di sostenere in toto Amadeus in quella che, per molti, sarebbe stata una debacle: il suo 70esimo Festival della Canzone Italiana. L’ho detto a voi, ma l’ho detto personalmente anche a lui prima ancora che gli fosse confermata la conduzione e direzione artistica di Sanremo 2020.
Il pubblico, mai come ora, ha bisogno di positività, che siano serenità o risate fragorose, poco importa. Sono i toni urlati ed esasperati, i confronti accesi per il sol fatto di far rumore, il chiacchiericcio costruito ad arte, fine a se stesso e basato sul nulla ciò di cui, ormai, nessuno ha più voglia. Ci si deve poter accomodare sul divano e guardare in santa pace uno spettacolo, sentendolo tuttavia vicino. Perchè se c’è qualcos’altro di cui non c’è assolutamente necessità sono i pulpiti mediatici dei soliti noti sono pronti a fare la lezioni ai soliti ignoti.
Il Sanremo di Amadeus non è stato certamente un Festival che verrà annoverato negli annali ma è stato incredibilmente vicino al pubblico. Un Sanremo positivo sin dalle intenzioni, quando il conduttore ha pensato (bene) di circondarsi di amici, a partire dall’animatore del palco (Fiorello) e finendo, in tutti i sensi, con il “conduttore” dell’invisibile Altro Festival (Nicola Savino). E’ proprio questo clima disteso e familiare l’arma vincente della settantesima edizione del Festival e poco importa che non ci siano state performance memorabili da parte di nessuno; poco importa che sia mancato ogni sera l’ospite internazionale di grido; poco importa che molti ospiti siano stati assolutamente inutili; poco importa che il monologo sia stata una tassa da pagare troppo spesso.
Importa un po’ di più, invece, il fatto che sia mancata la canzone indimenticabile. Ma d’altro canto non c’è più -per fortuna- la ‘classica canzone sanremese’ perchè il Festival è diventato un coacervo di generi, è diventato ampio, è diventato più semplicemente per tutti. Mai come quest’anno.
1. Ale ha scritto:
9 febbraio 2020 alle 09:22