Non c’è finale di stagione senza indiscrezioni, più o meno verosimili, di un possibile ritorno di Massimo Giletti in Rai. Il conduttore torinese, dal 2017 su La7 con Non è L’Arena, dichiara che la libertà di manovra nel lavoro, sempre garantitagli da Urbano Cairo, resterà il suo metro di valutazione principale.
“Sfido a chiedere a qualunque dei miei colleghi se Cairo abbia mai fatto una telefonata a Mentana, a Floris e a tutti gli altri per chiedere qualcosa! Io sono a La7 da quattro anni e nella mia decisione sul futuro peserà il mio senso di libertà. Perché io faccio una televisione che è al “limite”. Le battaglie contro Bonafede e le scarcerazioni dei mafiosi. O quella che ho fatto, isolato, contro Arcuri non avrei mai potuto farle altrove”
spiega a La Stampa. La Rai non è La7 e Giletti lo sa bene, essendoci stato per quasi trent’anni. La politica da sempre pressa la TV di Stato, ma quella che il conduttore vede da fuori è una triste immagine di un’azienda a suo dire piegata ai poteri forti per colpa di una certa incompetenza dirigenziale:
“C’è molta ipocrisia: il Parlamento, come è giusto che sia, detiene il controllo su un’azienda pubblica. Il problema è che ai tempi di Ettore Bernabei (direttore generale Rai dal 1961 al 1974 , ndDM), la massima espressione del potere e della politica, c’erano grandi dirigenti che avevano al centro il prodotto e sapevano dire no ad un certo tipo di pressioni. Oggi c’è uno scadimento di qualità e di competenza nella gestione dell’azienda. Una parte dell’azienda lavora alla grande e un’altra parte è prona ai poteri politici. In una forma di vassallaggio che mi fa molta tristezza“.
La vicenda Fedez, per lui, è l’emblema delle grandi problematiche che affliggono la Rai. E lo dice, a maggior ragione, senza schierarsi dalla parte del rapper:
“Quanta debolezza culturale nel non capire che basta mezza frase di personaggi così abili e influenti e sei spacciato: fai diventare martire chi, magari, non è stato neppure oggetto di una censura! I martiri veri sono altri! (…) Questa storia racconta la debolezza culturale di una struttura che non capisce che non si possono dire certe cose. Fedez sarà pure bravo a gestire il marketing di se stesso ma è anche un artista che deve parlare di ciò che vuole sul palco. E invece tutti hanno finito per parlare del caso (…) Morale della storia: non ‘puoi’ censurare Fedez che ha milioni di persone che lo seguono. L’aveva detto Umberto Eco diversi anni fa che saremmo diventati schiavi dei social”.
1. Marco ha scritto:
6 maggio 2021 alle 14:49