Nicola Gratteri combatte la mafia e la vede tutti i giorni. Non in tv, ma da vicino. Suscitano quindi interesse le recenti dichiarazioni che ha rilasciato in merito all’impatto che le serie tv sui malavitosi avrebbero sulla società. Interpellato dal FattoQuotidiano.it, il Procuratore di Catanzaro ha lanciato un monito a quanti producono e scrivono contenuti di questo genere, riferendosi anche all’emulazione che alcune figure negative possono innescare nei più giovani.
“Non voglio assolutamente polemizzare con nessuno e non parlo mai di cose specifiche. Dico che la cinematografia e la televisione fanno arte e non mi metto a disquisire su questo. Il senso dei film, dei docufilm e dei libri è quello di educare. Se davanti alle scuole vediamo dei ragazzi che si muovono, si vestono e usano le stesse espressioni degli attori e dei personaggi di questi film che trasmettono violenza su violenza, mi pare che il messaggio non sia positivo“
ha dichiarato il magistrato.
Il problema, in questo caso, è come si scelga di impostare il racconto. Le fiction sulla mafia, infatti, sono ormai diventate un vero e proprio genere e spesso gli sceneggiatori – consapevoli che il successo di un prodotto seriale si basi anche sulla riconoscibilità dei suoi protagonisti – creano personaggi sempre più aderenti allo stereotipo del mafioso-star, le cui espressioni ed il cui look diventano (anche involontariamente) oggetto di emulazione.
Non è infatti un mistero che, in alcune zone d’Italia, vi siano giovani che si ‘divertono’ ad atteggiarsi o a farsi il taglio di capelli come Genny Savastano, il boss della serie tv Gomorra. Il pericolo di dare risalto ad eroi negativi è sempre dietro l’angolo e non riguarda solo la serialità: di recente, Roberto Saviano ha presentato sul Nove un programma dedicato ai ‘re del crimine’ (Kings of Crime), dicitura che in qualche modo rischiava di mitizzare proprio i malfattori descritti. “Attraverso i media, i boss cercano di essere consacrati come mito” aveva del resto spiegato lo stesso scrittore, che in una nostra intervista aveva tuttavia replicato di non voler concorrere in alcun modo a questa consacrazione.
Gratteri ha quindi ragione a mettere in guarda sulla potenziale rischiosità di alcune rappresentazioni e le sue parole non ci sembrano certo un invito a sospendere il racconto di certe realtà, che peraltro la tv ed il cinema italiano hanno spesso dimostrato di saper rappresentare meglio di altri. Sarebbe altresì sbagliato mitigare se non addirittura censurare gli eccessi che caratterizzano alcune figure mafiose, a patto però che la spettacolarizzazione ed i cliché non prendano il sopravvento sui fatti, con effetti indesiderati sui fruitori meno attrezzati.
“Bisogna riportare parte di ciò che accade nelle mafie, però dobbiamo all’interno dello stesso film o libro inserire qualcosa di alternativo, un messaggio che questi non sono invincibili e forti“
ha concluso Gratteri. Facile e giustissimo a dirsi: ma è sulla pratica che, spesso, si riscontrano maggiori difficoltà.
1. Nina ha scritto:
5 dicembre 2017 alle 12:04