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La Gabbia imprigiona il suo potenziale
di Stefania Stefanelli
18/12/2024 - 12:26
© US Netflix / Ana del Moral
3 /5
La storia del lottatore che troverà tra pugni e violenza il proprio riscatto è vecchia come il mondo, o almeno come Rocky, che dal 1976 è diventato un personaggio simbolo nei racconti di combattimento. Cinema e tv ritirano spesso fuori l’argomento, lo ha fatto di recente Disney+ con Il Pugile, e adesso è toccato a Netflix con La Gabbia, un prodotto dal grande potenziale che, però, si perde un po’ per strada.
Nei cinque episodi di questa serie francese non si parla di pugilato ma di MMA, ovvero le arti marziali miste, con il coinvolgimento di alcuni nomi storici della disciplina come Jon Jones, Georges Saint-Pierre, Abdel “The Blade” e Medjedoub.
Un punto di vista diverso dai soliti per una narrazione che si snoda partendo dal disastro familiare per arrivare al solito scontro con un nemico potentissimo che incarna sulla carta il male del mondo (qui interpretato dal rapper Bosh).
La Gabbia: il protagonista non ha carisma
Il protagonista è Taylor (Melvin Boomer di Reign Supreme), un ragazzo sul quale grava il peso di un rapporto tossico con la madre, che potrebbe essere considerata la più pericolosa gabbia del racconto. Taylor ha quasi paura di sognare, di sperare, è un ragazzo che ne rappresenta tanti, ma nonostante questo è lui il limite principale della serie.
Non ha, infatti, una personalità tale da affascinare lo spettatore e bucare lo schermo, come invece ci si aspetta da un personaggio del genere, destinato ad una grande trasformazione. Arranca e perde forza non riuscendo ad imporsi, sparendo a tratti in mezzo ai tanti personaggi ben più carismatici di lui.
Uno su tutti Boss, il suo coach, la cui presenza (e assenza) sarà il motore della storia. E, non a caso, ad interpretarlo c’è Franck Gastambide, anche ideatore e regista della serie.
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