Il regno dell’impunità da insulto chiamato reality scrive un’altra epica pagina da non tramandare ai posteri. Se la depenalizzazione del mortacci tua sembrava aver risolto le querelle giurisprudenziali del Grande Fratello, un nuovo orizzonte spinoso si pone davanti al giudizio degli autori. A rilanciare il sasso nello stagno delle polemiche create ad arte per tornare a scaldare qualche poltroncina televisiva è Massimo Scattarella che con la sua sonora esclusione nella passata edizione aveva smosso mari e monti per rivendicare alibi e attenuanti.
Don Pitbull infatti ha deciso di azzannare la palla al volo dopo l’ennesimo misfatto verbale della casa. Intervenuto a Mattino Cinque, il barese ha rivendicato quasi un diritto alla retroattività della legge che lo riabilitasse agli occhi del pubblico, ma soprattutto all’occhio della telecamera (cosa non si fa per campare?!). A Scattarella sarebbe sfuggita la differenza tra i due sproloqui, e dunque la giusta causa del differente trattamento riservato a Matteo, da cui discende questa sua fantomatica richiesta di appello, ospitata da Federica Panicucci dopo l’ultima ’sentenza’ gieffina.
L’aut aut che Pittbull pone agli autori difficilmente avrà ripercussioni sulle dinamiche del gioco, a meno che dalle parti di Cinecittà si intraveda un margine di ‘riattizzamento’ del sacro fuoco dell’appeal che questa edizione non ha. Quello che però l’energumeno dalle ‘o’ chiuse ignora è che, contemporaneamente alla sua resurrezione catodica di stamane, il suo purtroppo famoso scivolone verbale profanatore è stato citato da Pietro Titone, nei confronti del quale adesso si pone un ulteriore problema di sanzione disciplinare. Aprire virgolette per citare rappresenta comunque peccato, reato e trasgressione del regolamento? Anche per questo Natale le menti del Gf avranno un bel da fare per districare la matassa.
Una disputa degna dell’Azzeccagarbugli manzoniano, un polverone risibile e paradossale alzato per mero vantaggio personale o peggio per perbenismo ipocrita. Occorrerebbe innanzitutto mettere in chiaro alcune questioni di principio che la superficialità di questo sensazionalismo cerca di aggirare. Constatato più volte il regime censorio sulla libertà di pensiero che condiziona i dialoghi dei partecipanti ai reality (e lamentato dallo stesso Clivio a più riprese), il fatto che nelle espressioni idiomatiche quotidiane molti italiani abbiano desemantizzato alcune espressioni inizialmente negative, o abbiano reso con il solo obiettivo iperbolico costanti i riferimenti a entità ultraterrene non comporta forse una riflessione sociologica sulla realtà e sulla rappresentazione della realtà? Nessuno propone la liberalizzazione della bestemmia come intercalare ma da qui a crocifiggere in pubblica piazza i colpevoli la distanza è notevole.
Tutta questa corsa all’intercettazione di quello che in un modello astratto e purista di lingua viene considerato peccato verbale non diventa perlomeno paradossale se su altri livelli di interazione si ha una tolleranza estrema per atteggiamenti profondamente lesivi del famigerato buon costume? Siamo arrivati alla degenerazione che attribuisce stigma ai mannaggia ma consente bullismi a tutto spiano, calpestamento delle garanzie di protezione dei dati sensibili, eroicizzazioni di malcostumi diffusi?
Il macho Titone avrà grazia per il suo ‘gallismo nel pollaio’ e giustizia per la sua sindrome, involontaria, da pappagallo? Alla Cassazione del Gf l’ardua sentenza!
1. Ivan81 ha scritto:
21 dicembre 2010 alle 16:13