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Disney minus

La piattaforma streaming in Italia fatica a prendere quota. Cos'è che non va?

Mattia Buonocore

di Mattia Buonocore

21/03/2024 - 13:34

Disney minus

Vanta un catalogo in cui abbondano produzioni evergreen, che nelle ultime stagioni ha proposto alcune delle migliori serie degli ultimi tempi (vedi The Bear e Abbot Elementary), ed è in grado di riunire nicchie e mainstream. E allora cos’è che non va? Disney+ in Italia fatica a prendere quota rispetto al blasone e a un progressivo dispiegamento di forze. Lo dicono innanzitutto i dati, riportati da ItaliaOggi:  dal 1° ottobre 2022 al 30 settembre 2023,  i ricavi ammontano a 93 milioni di euro, cifra che dovrebbero equivalere a meno di 1 milione di abbonati (il giornale ne ipotizza 850.000; l’osservatorio Agcom a proposito dei primi nove mesi del 2023 parlava di 3,5 milioni di utenti contro gli 8,8 milioni di Netflix). Un numero su cui non abbiamo certezze ma che difficilmente potrebbe stupire positivamente qualora venisse fornito dalla multinazionale.

In primis ci sono (state) questioni alla base dovute all’ingresso in un mercato già ‘plasmato’ da Netflix e all’ingombrante marchio che è croce e delizia in quanto, nella percezione, mal si concilia con contenuti più audaci. Tuttavia se, dopo anni, persistesse in maniera forte quest’ultima barriera, saremmo in presenza di un grosso gap comunicativo.

Il ‘potere d’acquisto’ dei bambini

Allo stesso tempo viene spontanea una riflessione sul target famiglia con bambini al quale la proposta Disney+ è immediatamente riconducibile. Se i bambini sono stati il motore di una rivoluzione sulla tv tradizionale, portando a scavallare per la prima volta con costanza il numero 7 del telecomando, sulle piattaforme è diverso. Per i più piccoli Disney è un “plus”; in fin dei conti possono bastare Youtube, le sezioni di Netflix e di altre piattaforme, in aggiunta ai canali lineari. Del resto, il mito Disney oggi non ha lo stesso impatto che aveva sulle generazioni precedenti. Questo, peraltro, è uno dei motivi per cui abbiamo sempre ritenuto discutibile la scelta di spegnere tutti i canali televisivi lineari (ma anche, allargando, la decisione di uscire dal business dei negozi fisici).

Contenuti italiani pochi e poco attrattivi

I limiti della comunicazione non aggirano i limiti dei contenuti originali e viceversa. A dare la spinta dovevano arrivare i prodotti italiani, finora pochi, ambiziosi ma non molto centrati. Chi si abbonerebbe mai per guardare unafiction storica(I Leoni di Sicilia) con Miriam Leone e Eduardo Scarpetta?Le operazioni Le Fate Ignoranti e Boris erano più coinvolgenti sulla carta ma, nel primo caso, è stata avviata una linea non proseguita, nel secondo l’operazione, che già parlava ad una nicchia, si è rivelata deludente. Italia’s got talent risulta sì in sintonia con il mood della piattaforma ma, al di là di un’edizione non irresistibile, non ti spinge ad abbonarti. E’ uno di quei programmi fatti per una visione generalista, senza impegno, saltuaria che ti prende il tempo di un’esibizione. O almeno IGT sembra meno allettante della collezione sulle Principesse Disney o di Grey’s Anatomy (contenuto puntualmente in cima alle classifiche).

Forse a livello di comunicazione, in assenza di grandi titoli originali, posizionarsi come casa del cult rimarcando la vastità della library non sarebbe sbagliato mentre a livello di produzioni originali la sfida dovrebbe essere, da un lato, costruire qualcosa partendo dal successo del titolo top (presumiamo possa essere Grey’s Anatomy), dall’altro sparigliare le carte con un prodotto unico che puoi trovare soltanto su quella piattaforma.

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