17
settembre

Blackface a Tale e Quale Show: la toppa è peggio del buco

Tale e Quale Show

“È una boiata pazzesca!”. Ci tocca parafrasare il ragionier Fantozzi alle prese con la corazzata Potëmkin per commentare l’accusa di blackface rivolta a suo tempo alla Rai e la soluzione adottata ora dall’azienda per aggirare il problema. Come annunciato da Carlo Conti nei giorni scorsi, nella nuova edizione di Tale e Quale Show (al debutto stasera) per rappresentare una celebrità di colore verrà utilizzata una cantante afroamericana, Deborah Johnson. Così, nessuno potrà contestare alla Rai di aver messo in atto una presunta condotta razzista. Come si dice: la toppa è peggio del buco, che già da solo pareva un insulto all’intelligenza.

Del resto, l’accusa di blackface (pratica che consiste nel truccarsi in modo non realistico e caricaturale per assumere le sembianze stereotipate di una persona nera) non stava in piedi. Le imitazioni di alcuni artisti afroamericani a Tale e Quale Show, infatti, non avevano alcun intento oltraggioso e anzi, al di là delle performance più o meno riuscite dei concorrenti, volevano essere un omaggio ad alcuni grandi nomi della musica black. Inoltre, la biasimevole pratica nata nel XIX secolo negli Stati Uniti per fortuna non ha mai attecchito in Italia, dove il contesto sociale è differente e non sovrapponibile. Eppure, cedendo a certi moti minoritari di indignazione e di conformismo, la Rai aveva deciso di rinunciare a tali interpretazioni per evitare situazioni a rischio discriminazione. Un autogol immotivato.

A distanza di un anno, i curatori della trasmissione Rai e lo stesso Carlo Conti devono essersi resi conto che una simile limitazione sarebbe stata penalizzante per lo show e – paradossalmente – avrebbe creato una discriminazione al contrario. “Sarebbe stato ghettizzante non rappresentare la musica black“, ha infatti spiegato il conduttore di Tale e Quale Show, motivando la decisione di lasciare l’interpretazione degli artisti neri a Deborah Johnson. Poi, non senza una certa irriverenza, Conti ha aggiunto: “Ma non è che se facciamo interpretare a Deborah un cantante bianco parlano di white-face?“. Una battutina che ha evidenziato un altro non-senso legato all’adozione di una norma molto politically correct ma poco ragionevole.

Quella di cercare presunti fenomeni di blackface nell’odierna programmazione televisiva italiana (e nello specifico del servizio pubblico) è insomma un’operazione che non tiene davvero in considerazione l’orizzonte culturale e le specificità di un Paese non così culturalmente arretrato come lo si vorrebbe dipingere. Da un lato, dunque, comprendiamo l’ironia un po’ spazientita di Carlo Conti, dall’altra pensiamo invece che il conduttore avrebbe potuto prendere posizione in maniera più decisa per difendere la libertà artistica di una trasmissione – la sua – nella quale non si sono mai viste discriminazioni, né tantomeno rappresentazioni stereotipate che potessero offendere particolari etnie.

Il ricorso a preconcetti razzisti è assolutamente odioso e condannabile, soprattutto quando a veicolarlo è un mezzo popolare come la tv. Ma è altrettanto insopportabile assistere ad una caccia alle streghe dettata dall’ideologia e non da reali episodi discriminatori, rispetto alla quale nessuno ha il coraggio di alzare la voce e dissentire.

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