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aprile

Tiger King: folle e trash, ecco perché la docuserie Netflix è diventata un fenomeno

Joe Exotic, Tiger King

Hanno artigli affilatissimi e zampe in grado di sferrare colpi mortali. Sono affascinanti, pericolose, selvagge. Eppure, le belve feroci sono la cosa meno impressionante di Tiger King, la docuserie di Netflix diventata un cult in poche settimane (anche Sylvester Stallone e Kim Kardashian se ne sono dichiarati fan). La produzione, articolata in sette puntate, racconta la storia di alcuni inquietanti personaggi legati alla detenzione di animali esotici in America, fenomeno diffuso anche grazie alla morbida legislazione di alcuni Stati. Si tratta di figure assurde, che svelano un mondo controverso, inaspettato (almeno per il pubblico nostrano), non privo di incoerenze e depravazioni.

Al centro delle vicende troviamo Joe Maldonado-Passage, alias Joe Exotic, un allevatore di belve feroci proprietario del Greater Wynnewood Exotic Animal Park Zoo in Oklahoma. Definizione riduttiva, questa: l’uomo, gay poligamo incline all’uso delle armi, è infatti una sorta di caricaturale cowboy dai capelli ossigenati e dall’indole instabile, un manipolatore carismatico ossessionato dal culto di sé (nel 2016 si candidò addirittura alla Casa Bianca) e da una perversa simbiosi con le sue fiere, delle quali decide la vita e la morte. “Un fanatico completamente pazzo” come lo definisce Bhagavan ‘Doc’ Antle, un altro folle addestratore di tigri raccontato dalla docuserie.

In Tiger King, le vicissitudini di Joe Exotic si intrecciano con quelle di Carole Baskin, attivista per i diritti degli animali e fondatrice di un rifugio per il salvataggio degli stessi (struttura che a sua volta, e al di là delle apparenze perbenistiche, è di fatto uno zoo). Tra i due corre un profondissimo odio, fatto di reciproche accuse e di tentativi di annientamento. La stessa web tv dell’addestratore viene utilizzata per lanciare minacce e offese contro la filantropa. Attenzione allo spoiler: nel finale, si scoprirà che Joe sta attualmente scontando ventidue anni di prigione per il tentato omicidio dell’animalista e per varie violazioni sulla compravendita di specie protette.

Seguendo le immagini, realizzate nei luoghi originali e sorrette dalle testimonianze dei protagonisti, lo spettatore si accorge però che quello rappresentato non è affatto un conflitto tra il bene e il male, bensì un complesso confronto tra personalità ingarbugliate e complementari, nelle quali alcuni tic negativi rintracciabili in una parte della società americana (l’uso disinvolto delle armi, ad esempio) vengono portati a livelli di esasperazione e di follia.

Se Joe appare fuori di testa e pure fuori controllo, Carole non è da meno e anzi dà l’impressione di fare buon viso a cattivissimo gioco, senza riuscire a nasconderlo troppo. Dietro alla fittizia maschera dell’animalismo, anche la donna cela segreti, indecenze e contraddizioni abiette, non così diverse da quelle che lei stessa denuncia. Su di lei pesa pure il sospetto di aver avuto un ruolo nella misteriosa scomparsa del marito Don Lewis, circostanza che le procurò un’eredità milionaria.

Con il prosieguo delle puntate, la narrazione di arricchisce di personaggi altrettanto assurdi rispetto ai quali lo spettatore italiano fatica quasi a credere che i fatti presentati siano riferiti alla realtà. E invece è proprio così. Anche per questo Tiger King sta avendo tanto successo. I volti e le testimonianze offrono uno spaccato antropologico surreale e degno di una sceneggiatura da film. Ma al contrario sono veri, trash e spaventosi, più delle belve.

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