Prima scena: Gad Lerner davanti alla statua di Karl Marx. Ci è venuto un colpo. “I lavoratori dovrebbero scrivere sulle loro bandiere la parola d’ordine rivoluzionaria” ha esordito il giornalista, declamando alcune teorie del filosofo tedesco. Il rischio che la prima prima puntata di Operai si trasformasse in un pippone anti-storico sulla lotta di classe sembrava concreto. Al contrario, il nuovo programma di Rai3 sul mondo del lavoro si è rivelato un racconto attuale, ricco di punti di vista inediti.
Dopo la parentesi marxista, Lerner ha iniziato il proprio viaggio alla scoperta di una “classe sociale tanto numerosa quanto invisibile” entrando nella fabbrica di Mirafiori, un tempo luogo di accese proteste operaie. Oggi la situazione lavorativa è cambiata, i “padroni” pure. Nella catena di montaggio, uomo e robot collaborano: si chiama “world class manifacturing“, spiega il giornalista.
Il pregio di Operai è quello di mostrare le storie e i volti di chi anima i posti di lavoro: persone che nelle sintesi dei tg e nel caos dei talk non hanno mai un’identità precisa. A tavola con una famiglia di lavoratori, Lerner dà voce ai sacrifici, alle speranze ma anche alla rassegnazione di chi trascorre intere giornate in fabbrica. Poi si sposta nella sede di Amazon, dove documenta i ritmi incalzanti e faticosi imposti dal sistema, “vera e propria fucina dell’uomo flessibile“.
Il racconto della prima puntata è approfondito, articolato. Esso include anche il mondo – sinora poco esplorato – della “gig economy“, l’economia dei lavoretti. Anche qui, Lerner fa il cronista e mette in risalto le contraddizioni delle nuove forme di lavoro, ne fa intuire i meccanismi. Il montaggio rende scorrevoli i cinquantacinque minuti di trasmissione.
Va riconosciuto che lo sguardo del narratore non è del tutto imparziale: i riferimenti a Marx (in parte funzionali al racconto) sono ricorrenti e sul finale non manca un’intervista al cineasta militante Ken Loach, che offre un’interpretazione squisitamente ideologica sulle realtà rappresentate, riferendosi ad una lotta per il cambiamento ed auspicando “azioni collettive e di solidarietà” da parte della sinistra internazionale.
L’impressione è che tale chiave di lettura accompagnerà il telespettatore anche nelle puntate a venire. Scelta opinabile ma legittima: da Lerner, del resto, sarebbe stato pretenzioso ed illusorio aspettarsi un’ode al turbocapitalismo.
1. Nina ha scritto:
8 maggio 2017 alle 11:16