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Squid Game è sempre Squid Game

Stefania Stefanelli

di Stefania Stefanelli

03/01/2025 - 11:34

Squid Game è sempre Squid Game

© Netflix / No Ju-han

3.4 /5

Squid Game ha rappresentato un momento topico per la serialità internazionale. Non soltanto perchè quella coreana fino ad allora non ci aveva abituati a racconti articolati su così tanti livelli, quanto per la sua natura scioccante, drammatica e spiazzante allo stesso tempo. E’ ovvio che la seconda stagione, a differenza della prima, non poteva contare su quel fondamentale effetto sorpresa, tuttavia è riuscita a mantenere inalterata la natura del progetto sebbene con qualche forzatura.

Se all’esordio nessuno poteva immaginarne il successo ottenuto su Netflix, questa seconda stagione è stata invece molto attesa e carica di aspettative, dunque bisognava impegnarsi di più. E da un punto di vista stilistico qualche risultato si vede: la regia è maggiormente accorta e sofisticata, il ritmo c’è, e anche il fatto di aver lavorato su una trama complessa e lunga – seconda e terza stagione sono di fatto un tutt’uno – dimostra un investimento ragionato.

E’ vero che il finale non chiude il cerchio, ma la storia si interrompe in un punto focale, nel quale le domande a cui rispondere sono tante e questo mantiene viva l’attenzione. Risposte che arriveranno di sicuro il prossimo anno, perchè il terzo capitolo è anche l’ultimo.

Squid Game 2: il cambiamento di Gi-hun

Il cuore di Squid Game resta il protagonista Gi-hun (Lee Jung-jae), che nei nuovi episodi appare diverso rispetto al passato: ha perso il suo sorriso, è vittima di un’inquietudine che non lo molla mai ma ha acquisito una forza e una sicurezza notevoli. E’ un leader maturo e conserva al contempo la genuinità e la purezza che ne fanno una speranza per l’umanità.

Certo, pecca ancora di una enorme ingenuità, perchè cade nello stesso identico tranello del passato: fidarsi di un infiltrato (oltretutto nuovamente contrassegnato dal numero 001). Quell’infiltrato, il Frontman, è il suo alter ego, perchè della cattiveria e del sadismo del mondo è emblema ed estimatore. E i suoi stessi piano, almeno per il momento, non funzionano.

I due rappresentano l’atavica lotta tra il bene e il male, mentre gli altri personaggi che ruotano loro intorno – interessanti, anche se non raccontati tutti a dovere per il momento – si trovano in un limbo, in bilico, custodendo ognuno dentro di sé infinite possibilità.

I rapporti che riescono ad instaurare all’interno del gioco, così come quelli che alcuni di loro vivevano già fuori di lì, dipingono un quadro molto sfaccettato della natura umana, delle sue miserie così come dei suoi picchi grandiosi, offrendo spunti di riflessione. Si riflette molto, insomma, e si gioca meno di quanto ci si aspetterebbe (peccato).

La grande capacità del racconto, drammatico e cruento come non mai, resta quella di sapersi anche alleggerire. I primi episodi, nei quali Gi-hun cerca di rientrare nel gioco con l’aiuto di un buffo gruppo di mercenari, sono a tratti anche divertenti, e il personaggio di Choi Woo-seok (Jeon Seok-ho) resterà fondamentale per portare qualche momento di ilarità anche in seguito.

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