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ACAB: tutti i poliziotti sono esseri umani
di Stefania Stefanelli
16/01/2025 - 12:52
© Netflix / Marco Ghidelli
3.5 /5
ACAB – La Serie è sbarcata su Netflix con sei episodi per ricordare a tutti che all caps are bastard ma esseri umani, alle prese con un lavoro che definire devastante è poco. Una serie brutale e allo stesso tempo ricca di simbolismo, che potrete apprezzare solo se amate il genere: quello che fa dell’angoscia il suo baricentro.
ACAB: ottimo cast per una serie cupa e autentica
Non c’è luce in questa serie tv, così come non ce n’è nella vita di Mazinga (Marco Giallini), Marta (Valentina Bellè), Salvatore (Pierluigi Gigante) e Michele (Adriano Giannini), celerini alle prese ogni giorno con una violenza che finisce per spegnerli dentro. La fotografia è chiusa e opprimente, claustrofobica, e per questo capace di trasmettere allo spettatore il buio che i personaggi vedono intorno a loro stessi. Così come il futuro che non riconoscono oltre la cortina perenne di fumo che li circonda.
Non ci sono tanti dialoghi, solo quelli necessari e in ogni caso pieni di pause, perchè questi poliziotti hanno imparato a tacere, a mentire, a coprirsi reciprocamente. E non parlano perchè altrimenti dovrebbero urlare una disperazione sconcertante, che si legge in modo chiaro negli occhi degli ottimi interpreti.
L’audio è pessimo: le parole spesso sono mangiate, pronunciate tra i denti, strascicate, stanche. Proprio come i protagonisti.
Non c’è una netta distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Perchè, sebbene la scrittura dapprima punti il dito contro chi usa i manganelli per punire, poi lo punta anche su un bisogno di giustizia che mette in crisi chiunque, anche chi nella violenza non vorrebbe credere.
Non c’è scampo alle scelte che ciascuno fa, finendo inghiottito in una spirale di odio e vendetta dalla quale può sperare di uscire solo facendo gruppo. Quando il gruppo, o meglio il branco, è proprio ciò che maggiormente lo ha condizionato, inducendolo in errore.
Contraddizioni, conflitti, pentimenti, rabbia, frustrazione e ben pochi sorrisi: sono questi gli ingredienti principali di un progetto che esaspera quanto già raccontato nel libro e nel film omonimi, sviscerando in ogni modo il privato di poliziotti quasi lobotomizzati, che non riescono più a staccare dal lavoro e vivere la propria vita.
Quello che ne viene fuori è una denuncia sociale, una critica ad un sistema che non funziona, che non ispira alcuna fiducia, privo di eroi e pieno di vittime. Un racconto pesante, cupo, doloroso, ma dal sapore autentico.
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