Storia terribile, nessun alibi per comprendere le dinamiche efferate, comprensibile rabbia e paura. L’omicidio di Luca Rosi durante una tragica rapina in villa nel perugino lascia sgomenti. Quando nell’atmosfera aleggiano crimini innominabili quali i tentativi di stupro e pericoli così forti per la libertà personale degli individui minacciati nella propria serenità domestica ogni parola sembra persino superflua per esprimere l’intima perplessità sulle ragioni di questa deriva di criminalità.
Il dovere di cronaca, sacrosanto, ha raggiunto a qualche giorno di distanza i parenti della vittima, visibilmente e comprensibilmente scossi e increduli per la tempesta che li ha travolti. La televisione, soprattutto quella del pomeriggio, ha ascoltato in religiosa contemplazione il dolore della madre: cosa controbattere al cospetto di una donna a cui è stato assassinato un figlio nel bel mezzo di un’invasione drammatica nel proprio recinto familiare, solo per aver tentato di salvare la propria compagna dall’oltraggio più umiliante?
I salotti d’opinione devono però comprendere la delicatezza della loro posizione in momenti estremi come questo. La richiesta di giustizia, la rabbia per un meccanismo di colpe e di pene non sempre efficace per risolvere alla radice il perpetuarsi delle violenze, la tentazione di farsi giustizia da soli per reagire alla paura ed uscire dal guscio. Pulsioni razionali e spesso irrazionali che i moderatori dei dibattiti devono sapere calibrare con un senso di responsabilità vigile più che mai.
Il rischio di far crollare i principi civili nella foga tipica di chi vuole dare risposte immediate al popolo infuriato è grande. Quando il pubblico applaude per sottolineare la partecipazione al dolore diventa un’umana compassione a cui non ci si può sottrarre, peccato che dietro l’angolo si nasconda l’insidia delle insidie, l’applauso scrosciante non appena arriva quell’impennata di toni che si lasciano vincere dalla tentazione dell’occhio per occhio, dente per dente.
E se i politici compunti si rimpallano più o meno la responsabilità di non essere riusciti a garantire sicurezza e giustizia per i più svariati motivi resta totalmente nelle mani dei conduttori il compito di centellinare le accelerazioni di indignazione, di calibrare al meglio i pesi e i contrappesi delle proprie tribune d’opinione. Un opinionista particolarmente caldo può diventare una calamita, rischiosissima, di inclinazioni forcaiole, può rischiare, inconsciamente, di farle sentire pienamente legittimate.
La televisione deve informare, deve dare gli strumenti critici per condannare ma senza essere grossolani, deve ribadire fino alla nausea i limiti delle generalizzazioni, deve spiegare al pubblico in studio che la rappresentazione delle percezioni può essere di fondamentale importanza nella ricezione degli orientamenti che ogni frase evidentemente veicola attraverso il canale di comunicazione. Passione e istinto è meglio che saltino un turno come al gioco dell’oca.
No assoluto, senza se e senza ma, al Far West mediatico per soddisfare la pulsione immediata di chi guarda, di chi ascolta, di chi interviene in collegamento. Le spirali di violenza che rischiano di essere innescate con una sofisticazione degli equilibri gridano già di per sé il segno della sconfitta. E’ richiesta più attenzione che mai essendoci di mezzo una questione sociale infinitamente più delicata di quelle tirate in ballo dai casi di cronaca che attraversano per il resto del tempo le mattine e i pomeriggi dell’infotainment.
1. MisterGrr ha scritto:
8 marzo 2012 alle 12:37