Interessante, vivo confronto di metodo quello avvenuto nel pomeriggio a Tv Talk tra i giornalisti d’inchiesta. A fronteggiarsi all’ombra dell’albero di Natale postmoderno di Massimo Bernardini Gianluigi Nuzzi e Alberto Nerazzini, cani da guardia mediatici del potere. In medias res il conduttore s’inoltra sulla deontologia dell’inchiesta sfruculiando nel lavoro di redazione, nella tecnica delle telecamere spente solo a parole, dei fuori onda trasmessi nel flusso di parole e di montaggi delle puntate, con il corollario di valutazioni che ne conseguono.
Come un fulmine a ciel sereno il giornalista di Report afferma:
“Non faccio firmare una liberatoria, credo, dal 1998″.
Per poi puntualizzare subito dopo qualche minuto che si trattava solo di una battuta, di una provocazione per far arguire la complessità del mestiere di ‘estortore’ di informazioni e di ricostruzioni.
C’è dall’altro lato Nuzzi che assicura invece di ottenere sempre la fatidica firma, di essere formalmente impeccabile in tutto ciò che riguarda l’iter etico del giornalismo. Assicura anche di telefonare agli intervistati per avvisarli di ogni ‘contenuto ulteriore’ che si preparasse a inserire nella messa in onda. Il dibattito si arricchisce di un giro di opinioni da cui emerge, ad esempio, che il giornalismo anglosassone, proprio per garantire la massima penetrazione dell’inchiesta, non si piega all’’obbligo’ della liberatoria per la privacy.
Scopriamo anche che dietro le apprezzatissime inchieste che vediamo in televisione c’è un lavoro accurato che talvolta contempla un iter di ricerche e interviste che prevede anche quattro mesi, reportage che la Gabbanelli valuta anche nei più piccoli dettagli, come ad esempio il montaggio musicale.
Un’ottima incursione nel circuito parallelo dell’inchiesta così poco estroverso e così fisiologicamente misterioso, un modo per avvicinare il professionismo algido dei giornalisti d’inchiesta al proprio pubblico di fedeli.
1. Giuseppe ha scritto:
24 dicembre 2011 alle 18:15