Potrebbe sembrare Icaro, che si scottò avvicinandosi troppo al sole. Ma se fosse un personaggio mitologico, Alessandro Cattelan sarebbe Narciso. Almeno guardando la prima puntata di Da Grande dove un incredibile gioco degli equivoci fa da sfondo al trionfo dell’autoreferenziale e dell’egoriferito.
Se le (auto)celebrazioni non si perdonano neanche ai big, Cattelan se ne infischia e fa un doppio salto carpiato: debutta in grande a Viale Mazzini e mette tutto se stesso al centro della scena, condannandosi inevitabilmente all’insuccesso. I motivi del sonoro tonfo non sono tanto riconducibili alla mancata notorietà ma al fatto di aver imbastito un one man show sul conduttore, poco centrato sul tema Da Grande e partendo da E Poi C’è Cattelan. Un modello, peraltro, che già su Sky non aveva fatto faville che solo un gruppo di lavoro pieno di self confidence poteva pensare di farlo attecchire nella prima serata di Rai1. E lasciate perdere le manfrine dell’innovazione perché già i semplici richiami ad EPCC, che a sua volta prendeva spunto dai late show americani, ne limiterebbero la portata.
Per il debutto su Rai1, Cattelan avrebbe avuto bisogno di un format solido, a limite con la prospettiva futura ed eventuale di arrivare al grande one man show. E se il primo equivoco è quello della rete che ha creduto ciecamente in lui, più di quanto forse abbia mai creduto nei volti di casa propria, il secondo equivoco è quello di Cattelan che non ha creduto nella rete. Le continue gag, ad oggetto la nuova casa mediatica del conduttore, giocano il più delle volte su un’idea di Rai1 stereotipata, vera in parte (ma quanto può essere innovativa una comicità che rafforza uno stereotipo?) che, ad una certa, dà l’idea che tu voglia davvero prendere in giro o ti senta davvero superiore rispetto al pubblico che vuoi catturare. Primo comandamento: non puoi sottovalutare o schifare il tuo pubblico. E se lo fai dovresti avere uno zoccolo duro che, dati alla mano, non hai.
Così gli ascolti sono stati impietosi e quello della concorrenza a sorpresa della pallavolo è un alibi debole. E’ vero che lo sport ha penalizzato ma è altrettanto vero che l’attese erano di gran lunga superiori a quello che la vittoria degli azzurri ha ipoteticamente tolto, tanto che, a incontro finito, il programma non prende il volo. Altro che 16%, Rai Pubblicità – quando ancora si pensava dovesse affrontare il temibile sabato sera – aveva stimato Da Grande più alto rispetto a programmi di successo come Tale e Quale Show, Ballando con le Stelle, The Voice Senior e persino Arena 60-70-80 con Amadeus. Fallito anche il tentativo di portare giovani e anche qui sarebbe curioso sapere in base a quale studio di marketing la Rai pensava che l’ex Sky quarantunenne Cattelan avrebbe avuto un effetto calamita sugli under 21.
Ma si sa al giorno d’oggi anche per chi fa tv, tira più un soffio di twitter che il carro dell’Auditel.
1. andrea ha scritto:
27 settembre 2021 alle 09:22