Pierluigi Pardo non ha la sfera di cristallo: fa il giornalista sportivo, mica il mago. Sulla finale Champions League 2015, però, ha le idee chiare: “Credo che il Barcellona sia favorito perché ha più qualità, però la Juve ha delle armi” dice, riferendosi alla competitività dei bianconeri. A pochi giorni dall’atteso match di Berlino, il conduttore di Tiki Taka ci ha consegnato il proprio pronostico e ci ha parlato del suo programma, un appuntamento irrinunciabile per molti tele-sportivi. Anche quest’anno, ogni lunedì in seconda serata su Italia1, Pardo ha raccontato il calcio con lo stile brillante che gli è proprio, secondo una formula ormai ben rodata.
Pierluigi, col tempo è cambiato qualcosa nel rapporto tra la componente informativa e quella di intrattenimento?
Tiki Taka è un mix di leggerezza ed argomenti più seri. Sicuramente è un programma che non ha paura di contaminarsi con tutto ciò che ruota attorno al pallone, quindi gli aspetti più alti e anche più controversi – come la violenza negli stadi, il razzismo, le polemiche che ci possono essere nella politica sportiva – ed aspetti anche più morbidi, più strettamente tecnici o legati al gossip. Ci mettiamo tutto quello che riguarda il calcio, perché il calcio comprende ed abbraccia tutto. Da questo punto di vista esso è veramente una livella (come diceva Totò parlando della morte), perché nello stesso stadio raduna persone molto diverse con la medesima passione. E Tiki Taka, all’interno della stessa trasmissione, mette insieme momenti diversi ed ospiti altrettanto diversi.
Qualche purista, però, potrebbe rimproverarvi che ormai la componente calcistica è troppo contaminata con quella di gossip e di intrattenimento…
Noi siamo sulla tv generalista e ci sono già tanti programmi sportivi tecnici legati al calcio. Io credo che i discorsi tecnici vengano comunque fatti e poi Tiki Taka è ricco di immagini: non è che non si parli di quello che succede. E’ ovvio che ci sono programmi più specialistici, che però non hanno il problema di dover fare ascolto e di dover parlare a tutti. Il discorso degli ascolti sulle sette reti generaliste ha un peso, sulle altre reti comincia a diventare importante però non c’è la stessa attenzione che abbiamo noi il martedì mattina quando guardiamo i dati. La cosa che più ci interessa è fare un prodotto che ci piaccia, però è ovvio che alcuni elementi di riscontro numerico ci devono essere. E per fare questo riscontro inevitabilmente si deve parlare a un pubblico che sia il più largo possibile. Sapere che, ad esempio, anche tante donne guardano il programma mi fa enormemente piacere. Non la considero come una forma di annacquamento della purezza calcistica, ma come una forma di apertura e di leggerezza per andare incontro ad un pubblico vasto.
Ogni tanto ci scappa qualche bisticcio e di recente abbiamo visto quello tra Cassano e Mughini. A te questo piace, perché – come dici – è “divisivo”, oppure è qualcosa che eviteresti?