Ero fortemente in dubbio su come titolare questo articolo. Avrei voluto chiamarlo, parafrasando una canzone di Arbore, “La vita è tutta un Vip”. Tra quiz, talk show, programmi di infotainment c’è un disperato bisogno di produrre, in qualche modo, nuova linfa e nuovi vip. La tv sta diventando ogni giorno sempre più una sorta di grande forno a legna con un fuoco che deve essere giornalmente alimentato. E se codesto fuoco non trova “ciccia”, nuovi scoop o nuovi vip, il fuoco, ahimè, è destinato a spegnersi. Se poi ci aggiungiamo che ormai “là dentro” ( in tv) siamo stati invasi da orde di opinionisti, per lo più trombettieri – tuttologi, esperti di nulla cosmico che saltellano da una rete all’altra, da un programma all’altro come fossero canguri colti da un attacco di dissenteria acuta, capirete bene che senza drammatici outing da commentare, efferati omicidi da discutere, intrecci amorosi da sottolineare, orge e baci saffici da “opinionare”, non avrebbero ragione di esistere e quindi, a parte qualcuno, dovrebbero tornare mestamente ad esercitare professioni a loro più confacenti tipo ricercatori di quadrifogli, stappatori di tappi, accuditori di vespasiani pubblici, scrutatori di tramonti, guardiapiante ai giardini.
In effetti sembra un paradosso, ma quando si decidono gli ospiti di una puntata, è fondamentale prima di tutto che l’ospite “funzioni”, che sia originale nella scelta ma soprattutto che sia libero da impegni. E vi assicuro che la cosa non è così facile come sembra per vari motivi: c’è quello reduce da un successo recente che ormai si sente arrivato e si ritiene ormai al di sopra della massa, c’è quell’altro che andrebbe bene ma, non essendo in promozione, per venire chiede un “gettone di presenza” troppo alto (di solito chi è in promozione, per contratto, è in qualche modo costretto a “promuovere” gratis il prodotto), un altro ancora potrebbe venire, ma non per quella puntata, un’altra poi ha appena partorito e non vuole mostrarsi alle telecamere col pancione. Insomma, come si dice, ci si mette di buzzo buono e si “fa la spunta” fino ad arrivare ai “Nomoni”, artisti con la A maiuscola che vengono solo per amicizia personale o in caso differente subentra il manager che chiede il solito cachet esorbitante completamente fuori budget. In altri casi invece i “Nomoni” vengono considerati “necessari alla causa”, una sorta di salvavita Beghelli: quando, per esempio, un programma su una rete importante sta subendo cali di ascolto preoccupanti sono chiamati per tentare di risollevarne le sorti. Ma di solito è un dato quasi matematico: quando un programma nasce male forse solo un omicidio in diretta, un rutto sparato senza ritegno da un ospite in diretta nel primo blocco del programma o lo svenimento di un concorrente senza venire soccorso (è già successo), potrebbero risollevare gli ascolti.
Prima di proseguire nella stesura dell’articolo permettetemi una breve personale digressione. Nella mia carriera d’autore ho avuto la fortuna di collaborare a più di 50 programmi, tutti di discreto successo meno uno, il tanto vituperato “Superboll” di Fiorello. Cercherò di descrivervi quello che accade solitamente quando un programma alla prima puntata “va male”: interminabili e sfiancanti riunioni coi direttori di rete, regista, autori, nelle quali vengono lette e sviscerate concitatamente le analisi di “Quelli del marketing”, veri detentori della Sacra verità catodica; atmosfera tesa ed elettrica, tiepide critiche alla collocazione in palinsesto e alla scenografia, primi tentativi sostanziali di cambiamenti strutturali, poi i primi leggeri scaricabarile del tipo “Io l’ avevo detto prima” fino a terminare con quello che chiosando dice: “Suvvia ancora nulla è perduto, rimbocchiamoci le maniche e vediamo come va la seconda puntata”. Se poi anche la seconda puntata va male, vi consiglio di non trovarvi nei paraggi o se doveste passare nelle vicinanze, camminate rasente i muri perchè sentirete volare moccoli, coltelli, urla, strepiti e quant’ altro.