Anche gli emiri hanno le loro Maria Luisa Busi, anche ad Al Jazeera la rivolta è donna. Il motivo del contendere però è ben diverso, e se al Tg1 si discute la linea editoriale del ‘sultano’ Augusto Minzolini, nella tv del Quatar si parla di dignità personali negate, di scelte ideologiche non proprio trasparenti. Alcune presentatrici della tv araba hanno lanciato il loro grido d’allarme, denunciando come l’emittente stia diventando sempre più “talebana”. Da quella linea aperta, che aveva conquistato il mondo arabo, si è passati ad una estremista e pericolosa che, manco a dirlo, ha colpito per prime le donne.
La tv, infatti, censura l’abbigliamento. Una prima avvisaglia che qualcosa stesse cambiando, le giornaliste l’hanno avuta quando Ayman Jaballah, direttore della redazione, ha deciso di stabilire in modo insindacabile quale fosse l’abbigliamento più adatto per presentarsi davanti alle telecamere. In barba alla femminilità e alla loro stessa dignità, le presentatrici si sono viste imporre un codice severo: niente pantaloni aderenti, gonne lunghe almeno cinque centimetri sotto il ginocchio, camicette castigatissime. Il look imposto è un segno del cambio di rotta, del fatto che l’integralismo sta iniziando a diffondersi anche via satellite, dagli studi della prestigiosa Al Jazeera. Sull’abbigliamento degli uomini nessuna particolare restrizione, chiaro.
Cinque presentatrici si erano già dimesse, dimostrando con coraggio che su questa battaglia di principio erano pronte a metterci la faccia. Cinque importanti volti della tv, conosciuti in tutto il mondo arabo. Altre nove giornaliste, di recente, hanno invece scritto una lettera di protesta alla direzione. Lo hanno fatto nel silenzio, perché non volevano fare cattiva pubblicità all’emittente, o forse per “precauzione”. Da parte loro, la “resistenza” sta diventando una battaglia di valori, il desiderio di poter affermare certe basilari libertà all’interno di una tv che di fatto è la più seguita dell’intero mondo arabo.