Ci siamo! L’aspettavamo e non ha deluso le nostre aspettative. Da quest’oggi Irene Pivetti sale ufficialmente a bordo di DM e verrà a “farci visita” spesso e volentieri per disquisire di televisione, interagendo con i lettori. Questo nuovo spazio di davidemaggio.it, infatti, avrà una caratteristica: il Presidente affronterà di volta in volta degli argomenti (televisivi, naturalmente) prendendo spunto dai suggerimenti e dalle richieste di chi sfoglia queste pagine. Qualora aveste, dunque, domande o voleste sottoporre al nostro prestigioso ospite un racconto, una riflessione o chiederLe un parere che funga da spunto per un prossimo post, potrete inviare una mail a irenepivetti@davidemaggio.it. Benvenuta, dunque, Irene e buona lettura a tutti voi.
Se chi naviga in rete è un internauta, chi si fa accogliere dalla barca di un altro è un internaufrago. Chiaramente. Così io, che dico vabbé a Davide che mi ha presa a bordo, mentre nuotavo beatamente fra i bit.
Eccomi perciò a disquisire di tv, come se fossi una che ne vede tanta – e invece ne vedo poca, un po’ perché ho poco tempo un po’ perché mi annoio. Ebbene sì, l’ho detto, il teleschermo passivo mi abbiocca. A meno che risplenda fra i led un sordido action movie, trama semplice, tante botte e proiettili, e Jack, e “Bastardo!”, e Nick – che poi è un nome da quello che prima della fine è morto, questo Nick, magari mostrando un coraggio insospettato fino a quel momento. Nome un po’ rachitico, Nick.
Davide mi ha chiesto di parlare dei reality, che sono diventati una fucina di talenti, no, non proprio talenti, ma comunque di occupanti i palinsesti tv in pianta stabile, a basso costo e rapida consumazione. D’accordo, lo faccio. Ma la notizia dov’è? Non deve forse funzionare proprio così la televisione, che non diversamente da una fabbrica di scarpe deve costare meno di quanto rende, altrimenti chiude? I reality sono ovviamente la catena di montaggio dei nuovi metalmeccanici, i maratoneti dei provini di massa, gli eletti delle preselezioni, i benedetti-da-Dio del cast definitivo. E finalmente, quando hai guadagnato sul campo il tuo posto da cavia di laboratorio, onde il mondo intero conosca, qualora mai gliene importi, i tuoi bioritmi, le tue lacune scolastiche e possibilmente i tuoi umori corporali, eccoti in realtà al decollo della sola carriera da star che la televisione consenta, carriera cioè di persona irragionevolmente venerata e sproporzionatamente quanto superficialmente osservata, con il gossip che per un po’ si occuperà di te, gli uomini e le donne a misurarsi con le tue tette o le tue stempiature, e finalmente un appagante oblio mediatico, dopo circa un anno dalla conclusione del programma. Oblio relativo poi, punteggiato comunque di serate a prezzo di dumping, rigorosamente in nero sennò non c’è margine. Sempre meglio che lavorare, direbbe un vecchio adagio.
E tu ti crogioli nell’illusione non che duri a lungo (questa nemmeno il più fesso lo può pensare) ma che sia tanto, tanto divertente. Vabbé, un certo gusto immagino ci sia a vedere i tuoi compagni di liceo che sgobbano come ciuchi per sbarcare il precariato, e tu che te la passi a discoteche, e già che ci siamo sarà penso una goduria vedere i professionisti che si rodono perché la conduzione la danno ad uno come te, che conosce l’italiano dal sommario, invece che a quello che regge il video da vent’anni. Giusto, si cambia.
Ma sai che gioia quando non ti vuole più nessuno, solo perché sei “quello dell’altro anno”, e tu non ti capaciti che un altro un po’ più scemo possa prendere il tuo posto.
L’ho detto, adesso ributtatemi in mare.
Irene Pivetti