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maggio

Michela Murgia: «Ho un tumore al quarto stadio. Mi restano mesi di vita»

Michela Murgia

Michela Murgia

Ho un carcinoma renale al quarto stadio; mi restano mesi di vita. Non si torna indietro“. Protagonista della confessione dolorosa e spiazzante è la scrittrice sarda Michela Murgia, che ha parlato con intensità di ciò che le sta succedendo.

Mentre raccontava sulle pagine del Corriere del suo ultimo libro, intitolato Tre Ciotole, che si apre con la diagnosi di un male incurabile, la Murgia ha svelato di aver preso spunto, nello scriverlo, dalla sua vita:

È pedissequo. È il racconto di quello che mi sta succedendo. Diagnosi compresa“.

Un carcinoma renale al quarto stadio, da cui “non si torna indietro” e che Michela non supererà:

Non mi riconosco nel registro bellico. Mi sto curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti. (…) Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno“.

Oltre a chiarire che non può operarsi, perché “non avrebbe senso, le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello“, la donna ha spiegato come si sente di fronte alla malattia:

Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno. (…) Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente. La guerra vera è quella in Ucraina. Non posso avere Putin e Zelensky dentro di me“.

Un’ipotetica morte che Michela Murgia non considera un’ingiustizia:

Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi“.

Il cancro non è la prima volta che si è presentato nella vita della donna, visto che i medici si accorsero in tempo di un polmone compromesso, a differenza di quanto accaduto di recente.

Non respiravo più. Mi hanno tolto cinque litri d’acqua dal polmone. Stavolta il cancro era partito dal rene. Ma a causa del Covid avevo trascurato i controlli

ha asserito l’autrice, annunciando che sta per sposarsi con un uomo:

Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me. Amo e sono amata, i ruoli sono maschere che si assumono quando servono“.

Parole dove ha espresso un desiderio, ossia di non morire sotto il governo – a suo dire fascista – di Giorgia Meloni:

Qual è il confine del fascismo? La violenza? La bastonata? Imporre con una circolare che il figlio di due madri sia di una madre sola non è forse violenza? Crede che a una famiglia faccia meno male di una bastonata? (…) Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista“.

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