Pino Insegno
La tv d’estate è una pena. Contare i semi all’interno di una fetta d’anguria risulta assai più divertente di un qualunque programma televisivo. Ci sono giorni in cui è più appassionate seguire le manovre di un auto che parcheggia piuttosto che guardare la tv. Eppure Reazione a Catena su Raiuno (dal lunedì al sabato in coda al Commissario Rex, scusate la battuta), continua ad appassionare e a stravincere, distinguendosi per la conduzione puntuale e composta di Pino Insegno (non è Pupo, ovvio, ma nemmeno Pupo è Pino Insegno, va da sé).
Nonostante non regga il confronto col suo predecessore in quanto a “creatore di tensione”, bisogna però riconoscergli un merito che in tv ormai è merce rara: la capacità di saper parlare un buon italiano. Il che (attenzione) non vuol dire essere un funambolo della parola alla Bergonzoni, o un eccessivo tessitore linguistico alla Bonolis. No. Semplicemente saper parlare. E Insegno sa parlare. E se sabato scorso la parola da trovare nel gioco finale era cadenza, Insegno, la sua, sa perfettamente come controllarla.
Nemmeno quando le vicende del programma potrebbero concedergli di scivolare facilmente in un “Aò”, in una serie di “Mbè?”, in una manciata di “Che stai a ddì?” o in un sornione “Ma che stà’a’scherzà”, come solitamente usano fare alcuni conduttori tv per apparire sin da subito simpatici e amici de no’artri, Insegno rimane diligente sui binari della lingua italiana con un accento sempre composto e puntuale, frutto di anni di doppiaggio in cui l’ex mattatore della Premiata Ditta eccelle. Era Will Ferrel/Mugatu in Zoolander, Will Smith in Alì, Viggo Mortensen ne Il Signore degli Anelli, Sacha Baron Cohen in Borat, Brüno e Ali G, Brad Pitt ne L’Esercito delle 12 scimmie e, saltandone moltissimi altri, Robert De Niro nel Padrino Parte II. Insomma, mica pizza e fichi, o, come direbbe Bonolis, “aò, mica cotiche”.