Rottamazione vs usato. Con un gergo da incentivo automobilistico la sfida che da qualche mese si consuma in una nuova versione all’interno del Pd non risparmia l’idea di televisione pubblica che le due correnti intendono affermare come linea maggioritaria. Matteo Renzi, il vispo sindaco di Firenze, all’interno della sua campagna di comunicazione molto forte per il rinnovamento del Partito Democratico si esprime a favore di una razionalizzazione privatistica del sistema radiotelevisivo.
Tra le cento proposte, molte delle quali etichettate come vintage anni 80 da Bersani, Renzi e il suo team di pionieri del nuovo si è espresso anche sulla questione della Rai, porgendo una mano trasversale a qualche altro esponente politico, di diversa estrazione, che aveva già avanzato ipotesi nella stessa direzione. Più concorrenza a Mediaset, meno incertezza di bilancio, fine del regime misto canone-pubblicità per gli stessi canali e netta separazione del finanziamento.
Le proposte specifiche sono la numero 16 e la numero 17 del manifesto della rottamazione. Ecco la ricetta renziana, che lasciamo alla descrizione diretta di coloro che hanno presentato la possibile fase due della sinistra italiana:
Oggi la Rai ha 15 canali, dei quali solo 8 hanno una valenza “pubblica”. Questi vanno finanziati esclusivamente attraverso il canone. Gli altri, inclusi Rai 1 e Rai 2, devono essere da subito finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private, e successivamente privatizzati. Il canone va formulato come imposta sul possesso del televisore, rivalutato su standard europei e riscosso dall’Agenzia delle Entrate. La Rai deve poter contare su risorse certe, in base ad un nuovo Contratto di Servizio con lo Stato.
Anche sulla governance il sindaco toscano, da molti considerato come l’uomo nuovo capace di battibeccare efficacemente con Berlusconi, non si nasconde dietro ad un dito e lancia la sua idea di gestione amministrativa ed editoriale della tv di Stato:
La governance della Tv pubblica dev’essere riformulata sul modello BBC (Comitato Strategico nominato dal Presidente della Repubblica che nomina i membri del Comitato Esecutivo, composto da manager, e l’Amministratore Delegato). L’obiettivo è tenere i partiti politici fuori dalla gestione della televisione pubblica.
Eppur si muove, penserete. Niente di così rivoluzionario, direte. E non avete tutti i torti: interessa però l’apertura della parte più centrista e giovane del Pd alla soluzione privatizzazione, linea che difficilmente troverà sostegno nelle aree più legate all’eredità del Pci, a prescindere dalla falce e martello sul simbolo dell’attuale forza politica che rappresentano. In fondo Renzi non è così distante da Formigoni.
Ricorderete il monologo di Santoro, forse il più veemente di tutta la stagione dell’ultimo Annozero, in risposta ad una simile proposta avanzata dal leghista Roberto Castelli, tanto da intitolare a distanza di pochi mesi il suo progetto Servizio pubblico. La Rai sarebbe dunque un ulteriore tassello nel mosaico di distinguo che le varie anime della sinistra porterebbero nella piattaforma per la redazione di un eventuale futuro di governo in discontinuità rispetto al berlusconismo.
Difficile immaginare una soluzione, figuriamoci pensarla a breve termine. La televisione pubblica sgombera di poltrone riservate e con una gestione editoriale svincolata dagli equilibri di potere consolidatisi nella storia d’Italia. Che qualcosa debba cambiare è evidente a tutti: nella fase della moltiplicazione dell’offerta l’azienda radiotelevisiva non può soggiacere a una struttura anacronistica.
Che la soluzione sia il privato, croce e delizia di ogni svolta socio-economica è anche questa una domanda da un milione di dollari. Con il referendum di giugno gli italiani hanno dato un segno forte di indisponibilità a concedere l’arbitrio su beni considerati storicamente come inalienabili.
Nel Belpaese, ed è questa la domanda principale, il servizio pubblico televisivo è pensato come una risorsa collettiva con le stesse caratteristiche dell’acqua o questa concezione di tv, prettamente europea, è già stata superata nelle coscienze?
1. luigino ha scritto:
1 novembre 2011 alle 13:36