Ore 21 e 4 minuti: parte la seconda puntata della terza edizione di XFactor. Undici cantanti in gara, tre giudici, due manches, uno scontro finale: la prassi è invariata e le ore scorrono lungo i placidi e tranquilli binari del “prevedibile”. Francesco Facchinetti è sicuramente maturato rispetto alle precedenti edizioni: non è autoritario, ma riesce ad essere più autorevole nel gestire le situazioni, pur non risultando ancora in grado di accelerare o decelerare il ritmo della trasmissione a suo piacimento. Nel complesso riesce, però, a fare da collante tra i tre giudici che sono ”la croce e la delizia” dello spettacolo. Sono ”croce“ quando “sguazzano indifferenti nel loro brodo”, senza preoccuparsi dei terribili impatti sullo zapping che possono avere le loro digressioni; diventano “delizia” nel momento in cui escono finalmente fuori dal ruolo e dal copione, e aumentano la temperatura senza ricorrere alle solite critiche sterili sul talento, l’onestà intellettuale e la filosofia musicale.
Ne è un esempio il one-woman show firmato da Mara Maionchi che, alla fine della prima manche, vede penalizzate le sue “Yavanna” e la scelta di fare una canzone (Teardrop dei Massive Attack) sofisticata e poco commerciale: la Maionchi sperimenta e il televoto la punisce… Apriti Cielo! Zia Mara (o a piacimento Nonna salice) ”va in sofferenza” ed inizia a ripetere più volte la parolaccia italiana più diffusa: ce l’ha con il mondo, ce l’ha con la sua stessa voglia di sperimentare e di scommettere su un “prodotto non immediato” come le tre fatine di Cuneo; butta tutto per terra, si alza e, da persona verace quale è continua ad imprecare, per poi sfociare in uno stizzito pianto nervoso. Morgan le tende la mano intellettuale, la Mori l’abbraccia con poca convinzione, Facchinetti è un “vigile urbano” e non può far altro che presidiare l’incrocio dopo il tamponamento: finalmente tra note e televoti, per dieci minuti si vede uno spettacolo che non è seduto, che non ha scaletta e che quindi appassiona. Impossibile non rivedere un momento cult del programma. Lo vedete nel video qui a lato.
Attenzione però! Questo non significa “fare il tifo per il trash” e sperare che qualcuno sbrocchi o si azzuffi: l’ira della Maionchi è un’ira dettata dalla passione, dalla carnalità, è un modo di esprimersi sicuramente sopra le righe (difatti lei se ne scuserà a fine show), ma non è un modo di esprimersi volgare, perchè non è volgare l’intenzione con cui la produttrice lo fa: d’accordo, non va bene dare certi esempi in TV, ma in quale famiglia non è mai scappato a qualcuno la fatidica parola che inizia per “C”? Quale persona appassionata riesce sempre a mantenere il controllo su tutto quello che dice? Il punto debole di “X-factor” nel suo complesso, forse è proprio questo: la mancanza di passionalità e carnalità, la mancanza del fattore “imprevisto” che smuova un pò il “ping-pong” tra giudici e cantanti. Ottima la scelta di distinguersi dai soliti parapiglia mediatici, di non trasformare una gara canora in un reality tra vipere, ma a volte lungo le tre ore di trasmissione, lo spettatore avverte un pò la mancanza di quella sana “caciara“, di quella gioia di fare spettacolo che rende tutto più leggero ed interessante. A fine puntata escono i cugini meno talentuosi dei Bastards, ossia gli Horrible Porno Stuntmen.
Segui dopo il salto, il riassunto della puntata, i giudizi sui talenti e le imperdibili “7 note (di colore)”.