C’era una volta, in una tv lontana lontana, uno scatolone domestico governato da pesanti leggii dorati, da monologhi imperanti e da elucubrazioni filosofiche degne del platonismo più profondo. Un giorno, la musica osò sfidare il regno dell’alta tv, decisa a dimostrarle che una voce, una fisarmonica e una chitarra potrebbero insegnare e ammaliare quanto i sermoni catodici tanto amati dai radical chic. Nietzsche una volta disse che senza la musica la vita sarebbe un errore e, dopo aver visto le due serate di Gianni Morandi Live in Arena, non potremmo che essere d’accordo con lui.
Perché Gianni Morandi, colui in grado di sfidare i mezzi pubblici di Roma, scalare l’Everest e terminare la maratona di New York con ancora mezza bottiglia d’acqua piena, ci ha dimostrato questo: che uno show televisivo può essere coinvolgente e ritmato senza sfociare nella retorica e senza necessariamente sorbirsi una lezione d’economia di Jean-Paul Fitoussi come nel Rock Economy targato Celentano. Gli elementi ci sono tutti: una gran voce, un’orchestra di cento elementi, un pubblico urlante e una notte stellata. Morandi fa il suo ultimo ingresso all’Arena immerso in un bagno di folla come un Papa melodico senza papamobile, accolto dagli abbracci e dal tifo sfrenato di uomini e donne di tutte le età. E, se vogliamo parlare d’età, potremmo proporre alle case farmaceutiche i nomi di Gianni Morandi, Rita Pavone e Cher come custodi del filtro della giovinezza, riusciti a dimostrare, in appena due ore e mezza, di avere più grinta di un capo ultras e di una directioner messi insieme.
Apre le danze lei, una Rita Pavone tutta pepe che non riesce a stare ferma un attimo, cantando i successi di ieri e di oggi che l’hanno resa celebre. Certo, lo sguardo furbetto e la statura minuta ci sono ancora, ma gli effetti del botox avrebbero potuto benissimo spingere gli organizzatori a contattare il Madame Tussauds chiedendo se una statua di cera fosse scomparsa di recente. L’alchimia con l’eterno ragazzo e i virtuosismi capaci di crepare un cristallo Swarovski ci ricordano che la Pavone non è mai cambiata e che l’Italia dovrebbe ricordarsi di avere. Si prosegue con un comico sui generis, l’unico, forse, che potrebbe essere richiamato all’ordine dai leggii e dai monologhi despoti e impegnati: Checco Zalone.