12
giugno

DAGO IN THE SKY: UN ‘SELFIE’ EFFICACE, NON SOLO CAFONAL DIGITALE

Dago in the Sky

Specchio riflesso: dietro all’ossessione dei selfie, alla mania dei social e alla schizofrenia delle interazioni web ci siano noi. Esattamente noi. A restituire l’immagine nitida e spietata di quel che siamo (diventati) ci sta pensando Dago in the Sky, un curioso viaggio in tre puntate che esplora i cambiamenti portati dalla rivoluzione digitale nella società, nell’arte, nel costume. In onda in prime time su Sky Arte, il racconto di Roberto D’Agostino è una composizione variopinta che attira l’attenzione assemblando contributi video ed analisi tranchant.

A Dago in the Sky lo schermo si frantuma, diventa un mosaico di immagini che scorrono e si sovrappongono, mentre il tatuato conduttore dice la sua con l’aria di chi la sa lunga. “Il selfie è diventata un’ossessione di massa, anche demenziale, per consegnare agli altri un’immagine diversa della nostra vita” dice il giornalista nella prima puntata del programma, dedicata proprio ai famigerati autoscatti. E cita Oscar Wild, Albert Camus, ma chiama in causa anche Justin Bieber, Kim Kardashian, James Franco e Papa Francesco.

Nel frullatore ci finiscono tutti, assieme a qualche immagine amatoriale, magari truculenta o piccante. In stile Dago. “Si sta creando un mondo parallelo che ha riscattato la mancanza di ideali” teorizza il giornalista riferendosi all’estensione della sfera virtuale a tutti gli ambiti, compresi quelli più intimi. Ad un primo sguardo, il programma sembra solo un grande Cafonal che racchiude le bizzarrie e gli orrori del cosiddetto “Rinascimento Digitale”. Un bestiario pop nel quale ciascuno potrebbe riconoscersi. Ma non è così: c’è qualcosa di più.

Dopo una première interessante ma un po’ caotica, Dago in the Sky blandisce il telespettatore con un secondo appuntamento meglio scritto e strutturato, ma soprattutto impreziosito dai contributi della filologa Silvia Ronchey, della docente universitaria Fabiana Giacomotti, del saggista e cinefilo Gianni Canova e del critico d’arte Francesco Bonami. Un parterre certamente gradito al pubblico di Sky Arte. La puntata (sul tema Internet) parte con Umberto Eco e si conclude con Steve Jobs, mentre spetta sempre a D’Agostino il compito di attualizzare e vivacizzare la narrazione.

La trasmissione scorre ed è veloce, forse fin troppo: alcuni spunti, infatti, meriterebbero di essere approfonditi. Nell’epoca della disintermediazione e dei social, Dago in the Sky risulta efficace perché parla di web attraverso la tv e lo fa con un prodotto didascalico ma non noioso, che incuriosisce forse perché parla proprio di noi, del nostro tempo: piaccia o meno, pure questo è un grande selfie.

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