E’ uno dei passaggi più rumorosi dell’ultimo “tv-mercato”. Un ‘cambio di casacca’ che ricorda quello della collega di rete Simona Ventura che, alla stessa maniera, dopo aver visto il suo programma riconfermato, ha dato il benservito alla tv pubblica, approdando ad un’altra azienda televisiva. Percorso simile per Gianluigi Paragone che, orecchino e chitarra alla mano, lascia la Rai e la sua Ultima Parola per approdare a La7, dove proporrà un programma del tutto simile. Il giornalista racconta in esclusiva per il web a DavideMaggio.it il suo passaggio alla rete di Urbano Cairo.
Mi spieghi com’è avvenuto questo passaggio?
Nel momento in cui ti accorgi che certi spazi in Rai non sono valorizzati come vorresti, a fronte di una richiesta che ti arriva dal mercato, nel caso specifico da Cairo, preferisci un editore molto più entusiasta verso il tuo mondo.
Si percepiva un po’ di maretta…
Maretta ce n’era tanta. Era un prodotto che aveva delle forti venature di anti-politica e la Rai non era in grado di metabolizzarle.
Cairo ha detto che la tua connotazione politica è cambiata e forse proprio questo è stato il motivo delle incomprensioni…
Conosce bene l’avversario e mi ha confidato di guardare il programma. Mi ha detto: “continua a fare quello che stai facendo e continua a divertirti”.
E infatti da contratto potrai portare chitarra e orecchino senza problemi…
Assolutamente! So che a Gubitosi non piaceva l’orecchino così come il giubbino in pelle. Qui non ho vincoli: libertà assoluta.
Ma che ci sei andato a fare alla presentazione dei palinsesti Rai?
Innanzitutto, la trattativa con Cairo è partita dopo…
Mi dovevi rispondere per forza così, ma non ci credo neanche un po!
Invece è vero. Ai palinsesti andavo a vedere una cosa che sapevo benissimo che non sarebbe accaduta. Purtroppo, al di là delle dichiarazioni, l’aver presentato L’Ultima Parola rappresentava una mezza sconfitta: non la volevano. Strano, perchè, quando un programma fa stabilmente la doppia cifra e fa diventare Rai2 la prima rete Rai, normalmente lo si tutela e lo si valorizza. Invece non c’era alcuna intenzione.
E ti sei rotto…
Più che rotto, ci sono rimasto male. La politica mi aveva messo e la politica mi ha tolto; allora mi sono detto “siamo pari, palla al centro”.
Palla a Cairo, non palla al centro…
Per la verità, io mi ero già dimesso da Vice Direttore e posso rivendicare un altro punto a mio favore: il mercato aveva detto che il mio programma funzionava. Bisognerebbe spiegare il motivo di tanta allergia verso il mio tipo di conduzione.
Anche nella Rai dei tecnici la politica la fa da padrona…
Nella Rai dei tecnici il mio racconto contro le banche fa più paura del mio attacco al Palazzo.
Il tuo percorso mi ricorda un po’ quello di Simona Ventura. Come lei, ti sei fatto riconfermare un programma e poi il colpo dell’ultimo minuto…
Non faccio mai questioni di puntiglio. Alla presentazione dei palinsesti ci sono andato perchè era doveroso che andassi, ma non ho fatto nessun doppio gioco.
Adesso che progetto c’è su La7?
Il progetto è quello di fare L’Ultima Parola e lavorare eventualmente a nuove scritture.
Cosa ha infastidito di più in Rai del tuo programma?
Il lessico spettinato, le continue sporcature, il fatto che lasciassi il microfono agli imprenditori e ai lavoratori più che ai politici, il fatto che dicessi che le banche -oggi- sono uno dei più gravi problemi della crisi.
Sino a qualche tempo fa il linguaggio spettinato non era il tuo punto di forza. C’è stata una prima e una seconda era Paragone…
E’ sotto gli occhi di tutti. E il pubblico mi ha ritenuto più credibile con orecchino e chitarra rispetto a quando ero in giacca e cravatta.
Cairo ha dichiarato di averti scelto per la capacità di fare un talk innovativo…
Non lo so che cosa voglia dire. So che mi vide molto spontaneo e per questo più credibile. Forse c’è anche una dose d’incoscienza: difficilmente mi sarei messo a nudo con chitarra e orecchino. Ma il messaggio voleva essere preciso: ‘zero pregiudizi’. C’è stata una stagione in cui abbiamo abusato dei pregiudizi e della tifoseria cieca, e abbiamo visto che non ha portato ad alcun risultato. E in più abbiamo combinato qualche danno. Quel percorso lì mi vede come uno sconfitto e in quanto sconfitto non ho altre verità: sostituisco il microfono che veniva dato a me come interprete di una società e faccio soltanto il cronista, colui che quel microfono lo fa girare.
Porterai con te lo staff de L’Ultima Parola?
Si. Da Sergio Bertolini al registra Rinaldo Gaspari.
Quanto è conveniente per un giornalista andare controcorrente e dare voce alla piazza?
Da un punto di vista economico non so. Dal punto di vista dell’ascolto conviene. Ma il discorso è un altro: credo che i politici abbiano parlato tanto e abbiano decisamente tante vetrine. Viene concesso loro un eccesso di potere all’interno delle trasmissioni. A fronte di un abuso di presenza dei politici, un po’ più di voce agli imprenditori e ai lavoratori, che hanno a che fare con le difficoltà vere, non penso sia tempo sprecato. Non posso dimenticarmi la protesta dei minatori che per difendere il loro posto di lavoro andarono sotto terra. Il dibattito si aprì con “Lo stato non può mantenere le miniere” e io dissi “Quando uno entra nel buco del culo del Mondo e rischia la propria vita e difende un posto di lavoro di merda ha molti più diritti rispetto alla casta quando vieta i tagli alle province etc etc”. Questo viene chiamato antipolitica o populismo, invece è la realtà di questo Paese: ci sono delle situazioni di grande disagio e degli operai che lottano per il proprio posto di lavoro.
Avrai un contratto a progetto a La7. Verrai pagato anche in base agli ascolti?
C’è una parte di stipendio variabile che rende la sfida ancora più stimolante.
1. lele ha scritto:
15 luglio 2013 alle 17:10